La sua voce non poteva mancare. In occasione del centenario del genocidio armeno l'autorevole studiosa italo-armena Antonia Arslan, autrice fra l'altro del romanzo "La masseria delle allodole", interviene nel dibattito sul tema con Rimozione di un genocidio: La memoria lunga del popolo armeno (Edizioni Dehoniane, Bologna 2015, pp. 56, € 6,00).Nel libro la scrittrice dialoga col sociologo delle religioni Enzo Pace. I due studiosi affrontano diversi temi connessi alla storia armena dell'ultimo secolo, dal genocidio alla presa di coscienza che si sta diffondendo fra gli intellettuali turchi, per i quali fare i conti con il passato è ormai un bisogno irrinunciabile.Un libro breve ma denso, ricco di spunti di riflessione, dove la passione civile si sposa perfettamente con il rigore accademico.Antonia Arslan, scrittrice e saggista di origine armena, ha insegnato Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di Padova. Dal suo romanzo "La masseria delle allodole" (Rizzoli 2004), Premio Strega 2004, è stato portato sullo schermo dai fratelli Taviani. Fra le sue opere più recenti, ricordiamo "Il cortile dei girasoli parlanti" (Piemme 2011) e "Il libro di Mush" (Skira 2012). Il suo impegno non si limita alla narrativa, dato che la scrittrice contribuisce attivamente al dibattito sul genocidio armeno.Enzo Pace, docente di Sociologia delle religioni all'Università di Padova, ha insegnato nelle Università di Amman, Jagellonica di Cracovia, Complutense di Madrid, Goiania e Federale di Rio Grande do Sul (Brasile). Collabora a varie riviste, fra le quali "Religioni e Società" e "Social Compass".
Per altre informazioni:
www.dehoniane.it
Settant'anni fa, il 6 agosto 1945, l'aviazione statunitense devastò la città giapponese di Hiroshima con la bomba atomica. Tre giorni dopo, il 9 agosto, la stessa sorte toccò a Nagasaki, che ospitava la più grande e antica comunità cristiana nipponica (soprattutto cattolica).Questi due crimini contro l'umanità, compiuti contro una popolazione civile stremata dalla guerra ormai finita, non sono mai stati puniti.Per approfondire il tema suggeriamo due letture. La prima è l'articolo "Hiroshima, un crimine mai punito. Il giorno in cui morì l’umanità", che l'amico Franco Cardini ha pubblicato il 3 agosto sul quotidiano "La Nazione".La seconda è il libro Sopravvissuto alla bomba atomica (Newton Compton, Roma 2015, pp. 220, € 9,90), scritto da Akiko Mikamo. Si tratta di una testimonianza lucida e toccante sulla vicenda che ha causato migliaia di morti, determinato terribili conseguenze sulla salute e scosso le coscienze del mondo intero. Un libro di enorme valore storico, culturale e umano.
Per altre informazioni:www.quotidiano.net/hiroshima-70-anni-1.1194292
www.newtoncompton.com
De la Calle L., Nationalist Violence in Postwar Europe, Cambridge University Press, Cambridge 2015.www.cambridge.org
Dalègre J., Tzimakas M., Les populations de la Macédoine grecque au XXIème siècle, L'Harmattan, Paris 2015.www.editions-harmattan.fr
Gillespie R., Gray C. (a cura di), Contesting Spain? The Dynamics of Nationalist Movements in Catalonia and the Basque Country, Routledge, London 2015.www.routledge.com
Malloy T. H., Osipov A., Vizi B. (a cura di), Managing Diversity through Non-Territorial Autonomy: Assessing Advantages, Deficiencies, and Risks, Oxford University Press, Oxford 2015.http://global.oup.com
In Corsica è uscito "La dame blanche", primo albo della serie a fumetti Korsis (Corsica Comix, Ocana 2015).La nuova collezione, ideata e disegnata da Serge Micheli, propone un'immagine molto insolita dell'isola: ambientato verso la fine dell'Età del Bronzo (1000 a. C. circa), "Korsis" porta in primo piano una temperie poco nota, dove gioca un ruolo centrale l'antico sciamanesimo locale. La protagonista è appunto una mazzera (termine corso per "sciamana"). L'opera si inserisce quindi nell'ampio processo di ricomposizione storica che la letteratura corsa sta portando avanti da molti anni: dallafigura imprescindibile di Pasquale Paoli, padre della Corsica indipendente (1755-1768) ai fatti di Aleria (1975), che segnarono la nascita dell'autonomismo moderno, senza dimenticare pagine storiche più antiche come la vita di Sampiero Corso (1498–1567)."Korsis" si spinge ancora più indietro, attingendo a un immaginario popolare non meno affascinante di altri più noti ai lettori di fumetti: "Non c'è bisogno di andare a cercare leggende celtiche, abbiamo tutto qui" ha detto Micheli presentando il nuovo albo ad Ajaccio. Serge Micheli ha firmato i disegni di vari albi a fumetti, come "Un drame en Livonie" (Librairie des Champs Élysées, 2000), "Voyage sous les eaux: la genèse de 20.000 lieues sous les mers" (Emmanuel Proust, 2003) e "Voyage sous les eaux, Tome 2: L'île mystérieuse" (Emmanuel Proust, 2004).
www.corsicacomixedition.com
Chiunque ha sentito parlare dei trattati che le nazioni indiane del Nordamerica conclusero con gli Stati Uniti nei secoli scorsi, ma questa pagina importante della storia americana è ancora sostanzialmente ignorata, non solo in Europa, ma nella stessa federazione nordamericana.Il libro American Indian Treaties: A Guide to Ratified and Unratified Colonial, United States, State, Foreign, and Intertribal Treaties and Agreements, 1607-1911 (University of Utah Press, Salt Lake City, [UT], pp. 272, $40.00, ebook $32.00) permette finalmente di colmare questa lacuna.Scritta da David H. DeJong, l'opera esamina con cura certosina tutti i trattati che furono firmati dal 1607 al 1911: una materia sconfinata, che va dai trattati intertribali a quelli conclusi fra le singole tribù e il governo federale, senza dimenticare quelli firmati da singoli stati federali e stranieri. In questo modo il lettore si può fare una chiara idea della diplomazia indiana, accantonando finalmente le tesi inconsistenti che ne hanno a lungo negato la stessa esistenza. Il libro comprende un elenco alfabetico di tutti i trattati.David H. DeJong dirige il Pima-Maricopa Irrigation Project. Fra i suoi libri ricordiamo "Forced to Abandon Our Fields" (University of Utah Press, 2011).
www.uofupress.com
La questione delle lingue minacciate sta stimolando un dibattito accademico sempre più articolato. In questo contesto si inserisce il libro Policy and Planning for Endangered Languages (Cambridge University Press, Cambridge 2015, pp. 280, $110.00), curato da Mari C. Jones.Il volume offre un panorama eterogeneo che spazia dalla Cornovaglia alla Nuova Caledonia, dal Borneo alle regioni artiche. Al tempo stesso, l'opera vuole stimolare ulteriormente il dibattito sulle strategie da adottare per salvare le lingue che rischiano di scomparire.Al volume hanno contribuito numerosi esperti, fra i quali Nicole Dolowy-Rybinska, Fabienne Goalalbré, Gary Jones e Jukia Sallabank.Un'opera di grande interesse per chi segue il tema in questione.Mari C. Jones è Lettrice di Linguistica francese all'Università di Cambridge. Ha pubblicato vari saggi sulle lingue minoritarie pericolo di estinzione, con particolare attenzione per il bretone e per il gallese. Collabora con varie università neozelandesi.
www.cambridge.org
Attento anche quest'anno ai cambiamenti sociali che toccano le minoranze, il nuovo State of the World's Minorities and Indigenous Peoples si concentra sui problemi di quelle che vivono in contesti urbani.Negli ultimi anni la consistenza numerica delle minoranze e degli indigeni che vivono nelle città è cresciuta notevolmente. Se da una parte questo offre loro maggiori opportunità, dall'altra aumenta la discriminazione e l'insicurezza.Il volume edito dal Minority Rights Group evidenzia questi problemi, ma non dimentica i casi i cui le minoranze e gli indigeni hanno tratto vantaggi politici e sociali dall'inurbamento. Come sempre, l'opera contiene anche la sezione "Peoples under Threat 2015", una precisa analisi statistica della condizione delle minoranze e dei popoli indigeni in tutto il mondo.Il libro può essere acquistato (£14.95) dal sito o scaricato gratuitamente:
www.minorityrights.org/13061/state-of-the-worlds-minorities/state-of-the-worlds-minorities-and-indigenous-peoples-2015.html
Il 21 agosto 1975, ad Aleria (Corsica), un gruppo di autonomisti dell'ARC (Action pour la Renaissance de la Corse) guidato dai fratelli Edmond e Max Simeoni occupa l'azienda vinicola di Henri Depeille, coinvolta in un caso di sofisticazione. L'iniziativa è il frutto di un malessere sociale profondo: la recente perdita dell'Algeria (1962) ha determinato il rimpatrio di molti corsi, che Parigi ha favorito a scapito della popolazione locale. Depeille è appunto uno di loro.Il governo reagisce all'occupazione dell'azienda vinicola in maniera sproporzionata: viene inviato l'esercito e la zona viene sottoposta a un assedio che dura alcuni giorni. Negli scontri muoiono due militari e uno degli occupanti.Edmond Simeoni, anima dell'occupazione, viene arrestato e processato: il Pubblico Ministero non esita a invocare la pena capitale. Migliaia di corsi manifestano il proprio sostegno al leader autonomista.Il processo si chiude con la condanna a cinque anni, ma all'inizio del 1977 Simeoni viene scarcerato grazie agli sconti di pena che la legge francese accorda agli incensurati. Quando lascia la prigione è ormai una leggenda vivente.Nel 1976, intanto, ha fatto la sua comparsa il FLNC (Fronte di Liberazione Nazionale della Corsica), ma i fratelli Simeoni rifiutano questa scelta basata sulla violenza e sulla clandestinità, optando per una linea autonomista democratica e legalitaria.Tutto questo spiega perché nell'isola il nome "Aleria" evoca una pagina di storia che ha segnato una svolta radicale. La mostra Aleria, une histoire photographique, visibile al Museo di Bastia fino al 20 settembre, la ripercorre attraverso le fotografie di Gérard Koch e Christian Buffa. Corredano le immagini i testi di Antoine Albertini, noto giornalista isolano.Gérard Koch (Marsiglia, 1943) ha lavorato a lungo per l'edizione corsa del quotidiano "Le Provençal". Corrispondente dell'AFP, ha documentato tutti i fatti che hanno segnato la vita isolana dal 1966 al 1999.Christian Buffa (1965) vive a Bastia, dove lavora al quotidiano "Corse-Matin". Inoltre lavora come fotografo dal 2001.Antoine Albertini (Bastia, 1975) lavora per la televisione (France 3 Corse) e per "Le Monde". Ha pubblicato diversi libri, fra i quali "Les dessous de l'affaire Colonna", insieme a Frédéric Charpier (Presses de la Cité, 2007) e "Faut-il abandonner la Corse?" (Larousse, 2008).
www.musee-bastia.com
È appena uscito Forgotten Genocide, un interessante documentario sul genocidio dei musulmani bosniaci realizzato dalla Islamic Human Rights Commission (IHRC) di Londra. L'opera comprende numerose testimonianze dei sopravvissuti e dei prigionieri, come anche varie interviste, fra le quali quella con Murat Tahirovic, presidente dell'Association of Witnesses and Victims of Genocide.Il documentario, diretto da Assed Baig e prodotto da Arzu Merali, ripercorre l'intera vicenda partendo dalla caduta della Jugoslavia titina fino alla deliberata aggressione della popolazione civile. Durante il genocidio (11-13 luglio 1995) persero a vita circa 8000 musulmani, in maggioranza uomini e ragazzi. La voce narrante è quella di Henrietta Meire.Chi vuole organizzare una proiezione del documentario può contattare nadia@ihrc.org o telefonare allo 0044-20-89044222.
www.ihrc.org
Ritorna dopo una lunga sosta Etudes corses, la più autorevole rivista accademica dedicata alla storia della Corsica. Con questo numero (76) la pubblicazione assume il nuovo nome Etudes corses et méditerranéennes per sottolineare il proprio legame con l'area mediterranea.Al tempo stesso la copertina riporta anche la dizione "Studi corsi è (sic) mediterranii" per riaffermare quello con l'area italofona. Il numero ospita saggi su argomenti eterogenei, fra i quali Rivalités et stratégies des Caporaux pour la domination de la Balagne (XV°-XVI°siècles) (Kevin Peche-Quilichini), Flaubert et la Corse. Mythes et réalités d'une relation de voyage (Edmond Maestri), Le bonapartisme ajaccien à la fin du XIX° siècle, défense et promotion d'une identité culturelle (Charles Renucci) e Patrimonialisation des musiques de Corse: Le violon dans le processus musical identitaire (Laurence Felici).
www.albiana.fr
http://etudes.corses.free.fr
I popoli nomadi e seminomadi costituiscono una parte importante del mondo indigeno: dai Sami (Lapponi) del Nordeuropa ai Wodaabe dell'Africasettentrionale, dai Wanniyala Aetto (Vedda) di Sri Lanka ai Beduini del Medioriente, queste minoranze più o meno consistenti sono presenti in tutti i continenti. Le loro culture sono strettamente legate a un quadro ambientale, economico e sociale particolare. Tutto questo legittima uno studio specialistico autonomo: è appunto questo l'obiettivo di Nomadic Peoples, l'unica rivista accademica dedicata ai popoli suddetti.Il nuovo numero (XIX, 1, 2015) offre una ricca varietà di contributi.Fabienne Desray si concentra sulle questioni di genere che caratterizzano i Wodaane del Niger; Maria Seeley ci parla delle poetesse beduine della Giordania; le difficili condizioni dei Beduini che vivono in Israele vengono invece trattate da Emily McKee; completano questo numero altri saggi e numerose recensioni."Nomadic Peoples", nata nel 1979, è diretta da Saverio Krätli e pubblicata da White Horse Press. La rivista è espressione della Commission on Nomadic Peoples, aderente all'International Union of Anthropological and Ethnological Sciences. Sia la Commissione che la rivista sono state fondate dall'antropologo americano Philip Carl Salzman, che insegna alla McGill University di Montreal (Canada). Per altre informazioni: www.whp-journals.co.uk/NP.html
http://nomadicpeoples.info
Nel 2004 Cipro ha aderito all'Unione Europea. Ma la parte settentrionale dell'isola, la cosidetta "Repubblica di Cipro nord" che la Turchia occupa dal 1974, è rimasta esclusa. Accettando questa situazione l'UE ha riconosciuto l'occupazione, non de jure ma de facto. Nel libro The Europeanisation of Contested Statehood: The EU in northern Cyprus (Ashgate, London 2015, pp. 168, £60.00) George Kyris esamina la questione cipriota come esempio delle relazioni politiche determinate dall'esistenza di stati autodichiarati. Questi stati, come appunto la "Repubblica di Cipro nord", generano una situazione schizofrenica: pur non godendo di alcun riconoscimento internazionale, devono essere considerati degli interlocutori se s vuole risolvere il contenzioso che li riguarda. George Kyris ha raccolto una vasta quantità di materiale - documenti, interviste, dichiarazioni pubbliche - per comprendere l'atteggiamento dell'UE nei confronti della questione cipriota, e più in generale nei confronti degli stati autodichiarati. Da questa analisi scaturisce un quadro concettuale che può essere applicato anche ad altri casi - Caucaso, Kosovo, Palestina, etc. - che pur essendo esterni all'UE coinvolgono in modo più o meno diretto la sua politica estera.George Kyris é Lettore di politica internazionale ed europea all'Università di Birmingham.
www.ashgate.com
Da qualche anno le regioni a statuto speciale sono oggetto di attacchi provenienti da giornali, partiti e singoli opinionisti. Si tratta di un'offensiva rozza e confusa, anzitutto perché non considera la distanza siderale che separa la Sicilia dal Trentino-Sudtirolo. Inoltre, il fatto che quest'ultima regione sia il bersaglio preferito di tali attacchi legittima il sospetto che questi siano mossi anche da una certa germanofobia (pregiudizio duro a morire, purtroppo). L'effetto è tragicomico: esponenti di regioni indebitate fino al collo vorrebbero farci credere che la rovinosa situazione economica dell'Italia fosse da addebitare alla "cattiva gestione" sudtirolese, friulana o valdostana. Senza contare la strenua difesa del centralismo che traspare chiaramente da questa offensiva.Detto questo, ci sembra doveroso segnalare Alpi e libertà: Trentino, Sudtirolo e altre realtà delle Alpi nel cuore dell'Europa (Tipografia editrice Temi, Trento 2015, pp. XYF, € 16). L'autore è Annibale Salsa, che ha raccolto in questo prezioso volume numerosi articoli di ambito alpino già apparsi sul quotidiano trentino "L'Adige". I temi trattati spaziano dall'analisi del paesaggio culturale alla pianificazione territoriale, dalla tutela delle Dolomiti legata al riconoscimento dell'Unesco all'autonomia, che come si diceva viene contestata dai media, dai poteri centrali e dall'opinione pubblica.Altrettanto ampio è il respiro geografico del volume, che oltre al Trentino-Sudtirolo tocca l'intero arco alpino, dalla Liguria occidentale al Friuli-Venezia Giulia, dalla Provenza alla Slovenia.Profondo conoscitore del tema, Salsa inserisce nei suoi scritti numerosi riferimenti alle piccole federazioni alpine (passate e presenti) e alle forme di autonomia che queste incarnano. Basti pensare ai cantoni svizzeri, al vecchio Ducato d'Aostaa o all'autonomia sudtirolese. Davanti al significato profondo di questo panorama storico variegato le polemiche neocentraliste suddette svaniscono come neve al sole.Annibale Salsa, esperto di questioni alpine, ha insegnato Antropologia culturale all'Università di Genova. E' stato presidente generale delClub Alpino Italiano. Fra i suoi molti lavori ricordiamo "Il tramonto delle identità tradizionali. Spaesamento e disagio esistenziale nelle Alpi" (Priuli & Verlucca, 2007), vincitore del premio ITAS del Libro di Montagna.
www.temieditrice.it
Eccettuati i popoli del Tibet, oggettivamente favoriti dall'importanza mondiale del Dalai Lama, l'oppressione delle nazionalità minoritarie della Cina è stata percepita soltanto in anni recenti. Questo dimostra quanto fosse inconsistente l'anticomunismo viscerale in voga durante la Guerra Fredda: il comportamento di Pechino verso le minoranze offriva spunti polemici ideali, ma chi avrebbe potuto coglierli era troppo impegnato a sostenere le dittature anticomuniste come il Cile o la Turchia. Senza scordare i legami commerciali che imponevano (e impongono) di chiudere un occhio (se non due) sulle violazioni dei diritti umani e collettivi che sono pratica quotidiana nel paese asiatico.Questo spiega perché la percezione di cui si parlava sopra, pur non essendo più limitata al Tibet, sia ancora incompleta. In pratica la sola minoranza che sia riuscita a superare il muro del silenzio mediatico è quella uigura.Gli Uiguri, turcomanni musulmani, vivono in prevalenza nel Xinjiang (pr. Sinkiang), la "repubblica autonoma" situata nell'estremo nordovest della Repubblica Popolare Cinese. Grande il triplo della Francia, il Xinjiang ha ricevuto più volte l'attenzione della stampa, che però ne ha dato un quadro impreciso e frettoloso. Ma ora possiamo approfondire la materia grazie a Nick Holdstock, autore di China's Forgotten People: Xinjiang, Terror and the Chinese State (I. B. Tauris, London 2015, pp. 288, £14.99).L'autore è uno dei pochi giornalisti europei che abbiano vissuto per qualche tempo nel Xinjiang. Grazie a questa conoscenza diretta ci offre un panorama ampio e aggiornato dei problemi che travagliano la vita della minoranza in questione. L'autore si sofferma anche sul terrorismo. Da una parte, questo è diventato una risposta all'oppressione di Pechino; dall'altra, la "guerra al terrorismo" lanciata da Washington dopo l'11 settembre 2001 ha fornito al regime cinese l'occasione ideale per criminalizzare e stroncare qualsiasi forma di dissenso. Il fatto che gli Uiguri siano musulmani non ha fatto altro che facilitare questa repressione.Nick Holdstock è un giornalista inglese. Esperto di questioni cinesi, scrive su "Dissent", "The Independent" e altre testate. Ha pubblicato il libro "The Tree that Bleeds" (Luath Press, 2011).
www.ibtauris.com
Originariamente pubblicato nel 1950, il volume di Archibald Grenfell Price White Settlers and Native Peoples: An Historical Study of Racial Contacts between English-speaking Whites and Aboriginal Peoples in the United States, Canada, Australia and New Zealand analizza l'impatto del colonalismo britannico sulle culture indigene dei quattro paesi anglofoni extraeuropei: Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti.Il volume (Cambridge University Press, Cambridge 2015, pp. 276, £19.99), riccamente illustrato, non tace i gravi abusi che vennero compiuti dai coloni britannici nei confronti dei popoli indigeni. "White Settlers and Native Peoples" è molto utile per conoscere lo sviluppo del colonialismo britannico e le diverse opinioni dei bianchi sui popoli autoctoni in questione (Aborigeni, Indiani, Inuit e Maori).Sir Archibald Grenfell Price (1892-1977), storico e geografo australiano, ha scritto vari libri su temi coloniali, fra i quali "What of our Aborigines?" (1944), "Australia Comes of Age" (1945) e "The Western Invasions of the Pacific and its Continents" (1963).
In genere succede di rado che i film presentati ai maggiori festival (Berlino, Cannes, Venezia, etc.) trattino temi di nostro interesse, ma conviene comunque tenerli d'occhio per non perdere le poche eccezioni. Ce lo conferma Dheepan, il nuovo film di Jacques Audiard, che ha vinto la Palma d'oro al recente Festival di Cannes. Dheepan è anche il nome del protagonista, impersonato da Jesuthasan Anthonytasan, attore tamil non professionista ed ex militante delle LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam), il movimento separatista armato che fino al 2009 ha lottato per costituire un proprio stato all'interno di Sri Lanka. Anthonytasan interpreta sé stesso: fuggito dal suo paese a 19 anni, immigrato in Thailandia, il guerrigliero ha poi raggiunto la Francia, dove ha chiesto asilo politico (qui vive tuttora). Nel film è affiancato da una giovane donna e da una bambina. I tre fuggono da Sri Lanka e arrivano in Francia, dove si si spacciano per una famiglia e ottengono lo status di rifugiati politici. Quindi si stabiliscono in una zona abitativa nei pressi di Parigi... Il film è parzialmente ispirato a "Lettere persiane" di Montesquieu. L'uscita in Francia è fissata per il 25 agosto, mentre non si sa ancora quando il film sarà visibile in Italia. Jacques Audiard (Parigi, 1952), autore della sceneggiatura di "Dheepan" con Thomas Bidegain e Noé Debré, è un regista francese. Fra i suoi film ricordiamo "Il profeta" (2009) e "Un sapore di ruggine e ossa (2012).
www.mymovies.it/film/2015/dheepan
La cosiddetta "decolonizzazione" dell'Africa è uno dei più colossali inganni del ventesimo secolo: in questo continente, in realtà, è stato operato un semplice passaggio di mano dalle potenze coloniali alle élite locali formate nelle università europee. Queste, eccetto casi molto rari, si sono distinte per l'inefficenza, la corruzione e il dispotismo. A conferma di questo, le lingue coloniali - in genere francese e inglese - rimangono gli idiomi ufficiali in quasi tutti gli stati africani: dall'Algeria alla Nigeria, dal Sudan alla Sierra Leone. Ma non tutti accettano questa situazione. Uno di coloro che la contestano radicalmente è Ngugi wa Thiong'o, noto scrittore kikuyu del Kenya, autore del libro Decolonizzare la mente (Jaca Book, Milano, pp. 128, € 14). L'opera contiene quattro testi dello scrittore, secondo il quale "l'arma più grande scatenata ogni giorno dall'imperialismo contro la sfida collettiva degli oppressi è la bomba culturale, una bomba che annulla la fiducia di un popolo nel proprio nome, nella propria lingua, nelle proprie capacità e in definitiva in se stesso". Soltanto una battaglia culturale basata sul recupero delle lingue autoctone - dal berbero allo zulu, dal kikuyu all'oromo - potrà restituire ai popoli africani una vera identità. La lettura di questo libro esemplare è il modo ideale per avvicinarsi a uno scrittore che coglie davvero nel segno, perché rifiuta di essere definito "kenyota", termine che in pratica non significa niente, e rivendica la propria identità kikuyu. Non a caso scrive in questa lingua, dopodichè si autotraduce in inglese. Ngugi wa Thiong'o (Kamiriithu, 1938), poeta, romanziere e saggista, ha insegnato Letterature africane all'Università di Yale. Perseguitato a lungo dal governo kenyota per le sue idee, ha pubblicato numerosi libri. Fra quelli tradotti in italiano ricordiamo "Petali di sangue" (Jaca Book, 1979), "Spostare il centro del mondo. La lotta per le libertà culturali" (Meltemi, 2000) e "Sogni in tempo di guerra" (Jaca Book, 2010).
www.jacabook.it
Nell'orgia di trionfalismo politico ed economico che circonda l'Expo di Milano nessuno ha ricordato che questa iniziativa è l'erede diretta delle "esposizioni universali" che nel secolo diciannovesimo e ventesimo presentavano indigeni di molte parti del mondo esposti in gabbia come attrazioni. Nessuno tranne Viviano Domenici, autore di Uomini nelle gabbie: Dagli zoo umani delle Expo al razzismo della vacanza etnica (Il saggiatore, Milano 2015, pp. 337, € 17).L'opera racconta il fenomeno dell'esibizione di esseri umani - spesso legati, incatenati o rinchiusi - che comincia con le prime esposizioni universali di fine Ottocento e si perpetua fino ai giorni nostri. Domenici denuncia senza mezzi termini una mentalità che continua a vedere gli altri come animali da ammaestrare, barbari da civilizzare, sudditi da conquistare. In una parola, esseri inferiori.Attraverso una ricerca attenta l'autore ripercorre le tragiche vicende di uomini e donne esposti in gabbia come animali: la giovane khoikoi(ottentotta) Sara Baartman, il celebre capo apache Goyaalé, meglio noto come Geronimo, fino alle orribili testimonianze contemporanee delle donne-giraffa thailandesi. Quest'ultimo caso dimostra che le pratiche disumane di un tempo non sono scomparse, ma sono state semplicemente sostituite dal "turismo etnico", dove gli indigeni interpretano sé stessi offrendo ai turisti gli stereotipi che questi vogliono vedere.Un'opera fondamentale: non soltanto per chi segue i problemi dei popoli indigeni, ma in pratica per tutti.Viviano Domenici, giornalista livornese, ha lavorato per molti anni al "Corriere della sera". Autore di molti servizi su temi archeologici e antropologici, ha pubblicato numerosi libri, fra i quali "Terra di Arnhem. Le caverne della memoria" (Electa, 2001), insieme a Giancarlo Ligabue, e "A cena coi cannibali. Taccuino di un giornalista esploratore" (De Agostini, 2011).
www.ilsaggiatore.com
Il genocidio è un tema che gode di un ampio interesse accademico. Gran parte degli studiosi, però, si concentra su casi specifici del secolo scorso, mentre pochi ne tracciano un panorama storico più ampio che includa anche casi legati ai secoli precedenti.Fra questi vanno inclusi Cathie Carmichael e Richard C. Maguire, curatori di The Routledge History of Genocide (Routledge, London 2015, pp. 348, $205.00).Il volume analizza il tema con una ricca varietà di opinioni e di prospettive. Cathie Carmichael introduce il tema col doveroso riferimento a Raphael Lemkin (1900-1959), il celebre studioso ebreo-polacco che per primo analizzò il tema e coniò lo stesso termine "genocidio". Simone Gigliotti esamina la questione dei "bambini rubati", i piccoli aborigeni australiani che vennero sottratti alle rispettive famiglie durante il secolo scorso per "farne dei bianchi". Kate Ferguson analizza il genocidio dei musulmani bosniaci. Mike Bowker si concentra sulla guerra russo-cecena. A casi più remoti sono dedicati i saggi di Fernando Quesada-Sanz ("Genocide and mass-murder in Second Iron Age Europe: Methodological issues and case studies in the Iberian Peninsula") e David Edwards ("Tudor Ireland: Anglicisation, mass killing, and security").Gli altri interventi spaziano dalla Shoah alla tragedia ruandese, dalle stragi degli Ustascia croati allo Holodomor, il "genocidio per fame" con il quale Stalin causò la morte di almeno 7 milioni di ucraini.Cathie Carmichael insegna Storia alla University of East Anglia. Ha scritto diversi libri, fra i quali "Genocide before the Holocaust (Yale University Press, 2009)", e "Language and Nationalism in Europe (Oxford University Press, 2000), che ha curato insieme a Stephen Barbour. È uno dei direttori della rivista "Journal of Genocide Research".Richard C. Maguire insegna Public History alla University of East Anglia. Ha scritto vari articoli sulla politica nucleare britannica; oggi si occupa di questioni africane e di storia militare.
www.routledge.com
Ormai sono passati quasi otto anni dal 13 settembre 2007, data in cui l'Assemblea Generale dell'ONU approvò la Dichiarazione universale dei diritti dei popoli indigeni con una larga maggioranza: 144 stati a favore, 4 contrari (Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti) e 11 astenuti (Azerbaigian, Bangladesh, Bhutan, Burundi, Colombia, Federazione Russa, Georgia, Kenia, Nigeria, Samoa e Ucraina).Il nuovo volume della serie The Indigenous World (IWGIA, Copenhagen 2015, pp. 571, € 25), curato da Cæcilie Mikkelsen, traccia un bilancio di quello che è stato fatto in questi anni e di quanto resta da fare. La maggior parte del libro, come di consueto, è costituita da articoli che riassumono i principali avvenimenti dell'anno precedente - leggi, rivolte, conferenze, trattati, etc. Viene dato ampio rilievo alla conferenza mondiale sui popoli indigeni, che si è svolta all'ONU dal 22 al 24 settembre 2014, ma anche anche all'impegno delle altre organizzazioni internazionali.Come di consueto "The Indigenous World" viene pubblicato in due versioni: inglese e spagnolo.
Il volume può essere acquistato o scaricato gratuitamente dal sito:
www.iwgia.org/publications/search-pubs?publication_id=716