Amicizia, stima e rispetto: questi sono i sentimenti che ci ispira Jean Malaurie, il massimo eskimologo vivente, che nel 1993 fu fra i primi a entrare nel comitato dei garanti della nostra associazione (all'epoca Associazione per i Popoli Minacciati).Il grande etnologo francese (Magonza, 1922) ha dedicato la vita alla conoscenza dei popoli artici, con particolare attenzione per gli Inuit (Eschimesi). Con la sua attività multiforme - fatta di spedizioni, conferenze, pubblicazioni e rassegne cinematografiche - ha costruito una base scientifica monumentale che rappresenta uno strumento irrinunciabile per chi voglia studiare la materia. Al tempo stesso, Malaurie ha vissuto a lungo con gli Inuit e ne ha condiviso le difficoltà quotidiane, le speranze e le battaglie politiche.La sua sincera partecipazione alla vita quotidiana del popolo artico viene confermata ancora una volta da Lettre à un Inuit de 2022 (Fayard, Paris 2015, pp. 168, € 15). Il libro tocca temi di grande attualità, perché è un grido d'allarme con il quale lo studioso esorta gli Inuit a resistere allo sfruttamento delle terre artiche da parte delle multinazionali. Il mondo, dice Malaurie, deve rispettare i popoli indigeni e la loro volontà di difendere la natura. Non si tratta di un messaggio romantico che rimpiange il passato, ma di un appello vibrante che rigurda il nostro futuro, perché la difesa dell'ambiente e quella delle culture indigene sono due lati della stessa medaglia.Per altre informazioni:
www.fayard.fr
www.jean-malaurie.fr
Acquistare un'agenda e inviare un'offerta a un'associazione umanitaria: ecco due idee molto diffuse nel periodo che precede il Natale.Ora è possibile realizzarle con una sola azione: acquistare Une année avec les chrétiens d’Orient, un'elegante agenda-libro pubblicata da Le Rocher per sostenere l'associazione "SOS Chrétiens d'Orient".Ovviamente non è necessario aderire a questa religione per sapere che le minoranze cristiane del Medio Oriente vivono da anni in condizioni gravissime. Dai Copti dell'Egitto agli Assiri dell'Irak, milioni di persone vengono perseguitate, torturate, uccise. In questo modo rischia di sparire un patrimonio culturale originale e prezioso che dovrebbe stare a cuore a tutti, cristiani o no. Appare evidente la simmetria fra la distruzione di questa eredità culturale e quella dei monumenti, in genere ancora più antichi, che l'ISIS sta riducendo in briciole.Comunque non bisogna credere che i problemi delle minoranze cristiane derivino soltanto dal cosiddetto "Stato Islamico". La loro condizione, già grave da tempo, si è ulteriormente aggravata con l'arrivo dell'ISIS, che in realtà non uccide soltanto i cristiani, ma anche gli yazidi, i membri di altre minoranze religiose e talvolta perfino i musulmani.L'agenda (cm 20x20, € 17,90) contiene molte testimonianze di giornalisti, religiosi e studiosi, fra i quali Christian Chesnot, padre Toufic Eïd, Charlotte d’Ornellas, Yves de Kerdrel, Annie Laurent e Georges Malbrunot.Acquistarla è un modo concreto per sostenere questi cristiani oppressi e dimenticati, che con le loro storie ci accompagneranno per un anno intero.Per altre informazioni:
www.editionsdurocher.fr
www.soschretiensdorient.fr
Nick Middleton è l'autore dell'Atlante dei paesi che non esistono: Alla scoperta di 50 nazioni che non hanno confini (Rizzoli, Milano 2015, pp. 240,, € 24.90).Il libro è l'edizione italiana del recente "An Atlas of Countries That Don't Exist: A Compendium of Fifty Unrecognized and Largely Unnoticed states". L'opera conferma il crescente interesse per un tema -quello dei paesi e dei popoli non riconosciuti- che la geopolitica non può più trascurare come un tempo. Opera stimolante e attuale, il libro presenta comunque un paio di limiti. Il più importante riguarda la scelta dei paesi inclusi: ci sembra fuorviante accostare la Catalogna e il Kurdistan, legate a fermenti politici importanti, a varie entità irrilevanti. L'altro appunto riguarda invece il traduttore, che per il sottotitolo ha scelto il termine "nazioni", consolidando l'errata equivalenza fra "nazione" e "stato" che viene comunemente fatta in Italia. Tanto più che sarebbe bastato restare fedeli al titolo originario per evitare di cadere in questo errore. Il titolo italiano, inoltre, parla di confini inesistenti, che in realtà questi sono ben definiti all'interno del quadro statale cui appartengono. La Catalogna, per esempio, segna il confine fra Francia e Spagna; il Tibet quello fra la Cina e l'India. Nick Middleton (Londra, 1960) è un geografo inglese. Ha girato il mondo e conosce oltre 50 paesi. Ha scritto molti libri, fra i quali "Atlas of Environmental Issues" (Oxford University Press, 1988), ed "Extremes: Surviving the World's Harshest Environments" (Thomas Dunne Books/St Martin's Press, 2005).Per altre informazioni:
www.rizzoli.eu
Ha per titolo Slør (Velo) il decimo CD della giovane cantante faroese Eivør Pálsdóttir, una delle maggiori esponenti della musica locale. Il nuovo disco, pubblicato dall'etichetta Tutl, segue dopo poco "Bridges", che era uscito in febbraio. Diversamente dal penultimo CD, cantato in inglese, il nuovo lavoro contiene dieci canzoni in faroese.Nata nel 1983 a Syðrugøta (Faroe), la giovane musicista ha esordito a sedici anni con un CD omonimo influenzato dalla tradizione isolana. Col passare del tempo la sua musica si è fatta sempre più varia e articolata, spaziando dal folk al jazz, dal rock al canto sacro. Nel 2013 il compositore inglese Gavin Bryars l'ha voluta come protagonista nell'opera "Marylin Forever", dove si è esibita anche come soprano. Il nuovo CD è prodotto da Tróndur Bogason, marito della cantante. Insieme a lei compaiono diversi musicisti: Mikael Blak (basso), Høgni Lisberg (batteria), Angelika Nielsen (violino e viola) e Hallur Jónsson (effetti sonori e programmazione).La musica proposta è un pop elegante con influenze della tradizione locale. Le Faroe, un piccolo arcipelago (1399 kmq) situato fra Scozia, Norvegia e Islanda, appartengono alla Danimarca ma godono di ampia autonomia. Hanno un proprio parlamento, una propria lingua, una moneta e una nazionale di calcio. Non fanno parte dell'Unione Europea.Per altre informazioni:
http://tutlrecords.com
http://evor.com
Il Panther Party (nato come Black Panther Party for Self-Defense) era un movimento afroamericano di orientamento socialista rivoluzionario. Fondato a Oakland (California) nel 1966, cercava di opporsi al razzismo e alle repressione poliiziesca con piccoli gruppi armati.John Edgar Hoover, direttore dell'FBI, lo definì "il pericolo più grande per la sicurezza interna". Per contrastarlo organizzò un programma(COINTELPRO) che cercò di contrastarlö in ogni modo: infiltrazione, pestaggio, tortura, etc.Le donne ebbero un ruolo centrale nella struttura del PP, organizzando varie iniziative d'interesse sociale come i centri di riabilitazione per alcoolisti e drogati. Data l'epoca, le Pantere Nere ebbero stretti contatti con la sinistra statunitense, col movimento pacifista e con quello femminista, ma pochissimi con gli Indiani. L'organizzazione afroamericana ebbe il sostegno di diverse celebrità, come Marlon Brando, Jane Fonda e John Lennon. Cessò la propria attività nel 1982.La sua storia controversa e quasi dimenticata viene oggi raccontata nel documentario The Black Panthers: Vanguard of the Revolution, scritto e diretto da Stanley Nelson.Si tratta di un documentario eccellente, ricco di materiale inedito, fra cui numerose testimonianze. Un'opera di grande interesse per quanti vogliono conoscere questa pagina di storia americana recente. Soprattutto per gli italiani, dato che la bibliografia nostrana sulle Pantere Nere è molto scarsa. Stanley Nelson jr. (New York, 7 giugno 1951), regista afroamericano, ha diretto molti film, fra i quali "Jesse Owens", "Marcus Garvey: Look for Me in the Whirlwind" e "The Murder of Emmett Tillvargais". Premiato con tre Emmy, è direttore esecutivo della compagnia Firelight Films,che ha fondato insieme alla moglie Marcia Smith.Per altre informazioni:
http://theblackpanthers.com
www.firelightmedia.tv
La maggior parte dei mezzi d'informazione continua a parlare della questione palestinese usando termini e concetti ormai superati. Molti si ostinano a ritenere che l'annosa vertenza possa essere risolta con la vecchia formula "due popoli, due stati". Allo stesso modo, continuano a definire Israele "l'unica democrazia del Medio Oriente", chiudendo gli occhi sulla repressione spietata che lo stato sionista esercita ogni giorno nei confronti della popolazione palestinese. Come se ciò non bastasse, gran parte dei filoisraeliani trova normale che il principale alleato di Tel Aviv, gli Stati Uniti, sia anche alleato dell'Arabia Saudita, paese non certo libertario oltreché finanziatore dell'ISIS.Per mettere ordine in questa confusione concettuale è necessario ricorrere a libri di esperti particolarmente seri e qualificati. Un ottimo esempio è Israel and South Africa: The Many Faces of Apartheid (Zed Books, London 2015, pp. 225, £14.99), scritto dallo studioso israeliano Ilan Pappe. Il titolo anticipa chiaramente la tesi centrale dell'autore: Israele è ormai uno stato fondato sull'apartheid. Il libro dimostra che questo termine, storicamente legato all'esperienza sudafricana (1949-1994), merita oggi di essere applicato al caso israeliano, anche se si tratta di due contesti diversi.Val la pena di ricordare, fra l'altro, che nel 1975 l'ONU aveva approvato a larga maggioranza la Risoluzione 3379, dove il sionismo veniva considerato una forma di razzismo. La risoluzione venne poi annullata nel 1991 in seguito alle pressioni americane. Il libro di Pappe conferma, se necessario, che non tutti gli intellettuali israeliani accettano supinamente le basi ideologiche sulle quali si regge questo paese, che nel definirsi "stato ebraico" denuncia involontariamente la propria natura discriminatoria. Un'opera tonificante che auspichiamo di vedere tradotta una traduzione italiana.Ilan Pappé (Haifa, 1954) è uno storico israeliano anti-sionista. Rappresenta la voce più critica nei confronti della leadership israeliana e in favore dei palestinesi. Attualmente è professore cattedratico nel Dipartimento di Storia dell'Università di Exeter (Gran Bretagna). Fra i suoi libri, alcuni dei quali tradotti in italiano, ricordiamo "The Making of the Arab-Israeli Conflict, 1947-1951 (I.B. Tauris, 1992) e "The Ethnic Cleansing of Palestine" (Oneworld Publications, 2007, trad. it. "La pulizia etnica della Palestina", Fazi, 2008.) Per altre informazioni:
http://zedbooks.co.uk
Il celebre proverbio "Nella botte piccola c'è il vino buono" è applicabile anche ai libri: lo dimostra L'insurrezione di Dublino (Menthalia, Napoli 2015, pp. 125, € 12), scritto da James Stephens.Il libro ripercorre la rivolta che ebbe luogo a Dublino nella settimana fra il 24 e il 30 aprile 1916, la cosidetta "Easter Rising" (rivolta di Pasqua, in gaelico Éirí Amach na Cásca). Si tratta di un resoconto di particolare interesse, perché Stephens lo scrisse proprio durante i giorni della rivolta. Non fu una sollevazione popolare: gli insorti furono soltanto un migliaio. La popolazione rimase indifferente, quando non apertamente ostile. Tale atteggiamento mutò in seguito alla repressione del governo britannico, che aveva fatto giustiziare o incarcerare i rivoltosi. Fu solo allora che il popolo comprese le loro ragioni e si schierò dalla loro parte. In ogni caso la rivolta di Pasqua inferse un colpo mortale all'impero britannico: nel 1922 l'Irlanda avrebbe acquistato una certa autonomia diventando un dominion della Corona britannica, quindi avrebbe ottenuto l'indipendenza nel 1949. Purtroppo, come sappiamo, sarebbero rimaste soggette al dominio britannico le sei contee che oggi formano l'Irlanda del nord.Mai tradotto prima in italiano, il volume è frutto della collaborazione fra due esperti prestigiosi: il traduttore Enrico Terrinoni, autore della nuova traduzione del famoso "Ulisse" di James Joyce (Newton Compton, 2012) insieme a Carlo Bigazzi, e il curatore Riccardo Michelucci, autore di "Storia del conflitto anglo-irlandese. Otto secoli di persecuzione inglese" (Odoya, 2009). Un'opera imperdibile.Per altre informazioni:
www.menthalia.com/insurrezionedidublino
Situato fra l'Australia e la Nuova Zelanda, l'arcipelago melanesiano delle Vanuatu è la splendida cornice nella quale è ambientato Tanna, un film diretto dai registi australiani Bentley e Martin Butler. Il lungometraggio è stato presentato all'ultimo Festival del cinema di Venezia, dove ha ottenuto due premi (direttore della fotografia e premio della critica)."Tanna" è il primo film interamente girato nell'arcipelago. La trama, basata su una storia vera, vede protagonisti alcuni membri del popolo yakel, la comunità indigena che ha dato un contributo decisivo alla realizzazione del film.Una ragazza, Wawa, si innamora di Dain, nipote del capo tribù, ma viene promessa in sposa ad un'altro. I due giovani fuggono contravvenendo alle regole della tribù. Ma dovranno scegliere fra le ragioni del cuore e il futuro del proprio popolo, mentre la gente del villaggio lotta per preservare la cultura tradizionale davanti alle richieste di libertà individuale sempre più incalzanti.Bentley Dean e Martin Butler hanno realizzato fra l'altro "First Footprints", un'importante serie sulla storia antica dell’Australia che ha ricevuto numerosi premi. "Tanna" è il loro primo lungometraggio di finzione.Per altre informazioni:
www.facebook.com/TannaMovie
Prima o poi qualcuno scriverà un libro sulle vite dei tanti europei che non si sono piegati alla logica predatoria del colonialismo, cercandoinvece di avvicinarsi alle culture indigene con rispetto e curiosità. Comunque chi vuole esplorare questo tema dispone già di un buon numero di opere, alcune delle quali sono state pubblicate negli ultimi anni.Una delle più recenti è Carlo Gentile: Un napoletano tra gli Indiani d'America (Controcorrente, Napoli 2015, pp. 208, € 10), opera postuma del giornalista Armando De Simone.Il libro racconta la storia dimenticata di un fotografo napoletano emigrato negli Stati Uniti, appunto Carlo Gentile, che adotta un bambino indiano strappandolo così a una vita di schiavitù e di sofferenza. Il bambino diventerà Carlos Montezuma, figura storica nella battaglia per i diritti dei nativi americani. Il libro è anche la storia dell'incontro tra due culture, quella napoletana e quella indiana.Armando De Simone, scomparso nel 2006 a 51 anni, aveva collaborato con vari quotidiani, fra i quali "Il mattino" e "Il Roma". Direttore dei servizi giornalistici di Teleregione, era docente di Master di giornalismo all'Accademia italiana delle ricerche.Non mancheranno la musica, con il concerto di canzoni Per altre informazioni:
www.controcorrentedizioni.it
Burt B., Malaita: A Pictorial History from Solomon Islands, British Museum Press, London 2015.www.britishmuseum.org
Jacka J., Alchemy in the Rain Forest: Politics, Ecology, and Resilience in a New Guinea Mining Area, Duke University Press, Durham (NC) 2015.www.dukeupress.edu
Kirch P. V., Unearthing the Polynesian Past: Explorations and Adventures of an Island Archaeologist, University of Hawai'i Press, Honolulu (HI) 2015.
www.uhpress.hawaii.edu
Margueron D., Flots d'encre sur Tahiti: 250 ans de littérature francophone en Polynésie française, L'Harmattan, Paris 2015.www.editions-harmattan.fr
Saura B., Histoire et mémoires des temps coloniaux en Polynésie française, Au vent des îles, Pirae 2015. www.auventdesiles.pf
La maggior parte dei libri sulla Corsica viene pubblicata in Francia. Nel nostro paese, invece, nonostante i legami storici e culturali con quest'isola vicina, l'editoria stenta a dimostrare un certo interesse per le sue vicende politiche e culturali. Un'eccezione particolarmente gradita è Corsica fatal, Malta baluardo di romanità. L'irredentismo fascista nel mare nostrum (1922-1942), libro scritto da Deborah Paci. Non soltanto per il motivo succitato, ma anche perché tratta un tema che la storiografia sul fascismo aveva finora largamente trascurato: il tentativo di annettere terre straniere ritenute "italiane", o comunque legate alla cultura italiana, che Mussolini rivendicò in nome di questi legami veri o presunti.Il libro (Le Monnier, Firenze 2015, pp. 278, €21) esamina due casi diversi: la Corsica e Malta. Nel primo caso esistevano forti legami storici e linguistici che invece mancavano nel secondo. Precisa e ben documentata, l'opera di Paci ricostruisce il contesto nel quale si svilupparono gli avvenimenti, mettendo in luce gli argomenti della propaganda iredentista e il misero fallimento dell'iniziativa. Un libro importante che colma un vuoto.Deborah Paci si è laureata in Storia contemporanea all'Università di Bologna; nel 2008 ha ottenuto un doppio titolo di Laurea Specialistica in Storia d'Europa e di Master 2 in Histoire et civilisations comparées all'Università di Bologna e all'Université Paris VII–Denis Diderot.È assegnista di ricerca all'Università Ca' Foscari (Venezia), dove studia le politiche identitarie e l'immaginario insulare nelle isole del Mediterraneo e del Baltico durante il XX e il XXI secolo.Per altre informazioni:
www.mondadorieducation.it
Negli ultimi tempi l'Ucraina è divenuta oggetto di un contrasto politico che coinvolge la Russia, gli Stati Uniti e l'UE. Nonostante questo, scarsissima attenzione è stata riservata ai Tartari della Crimea, che costituiscono la popolazione autoctona della penisola. Proprio perciò merita molta attenzione il libro The Crimean Tatars: From Soviet Genocide to Putin's Conquest (Hurst, London 2015, pp. 320, £20.00).Scritta da Brian Glyn Williams, questa è la prima opera approfondita su una nazione che da almeno tre secoli lotta per conservare la propria identità culturale. Poco più estesa della Sicilia, la Crimea è una penisola situata nel Mar Nero, a ovest della Russia. Ha fatto parte dell'impero ottomano fino al 1783, quando è stata conquistata dalla Russia zarista. Nel 1921, con la riorganizzazione territoriale seguita alla nascita dell'URSS, ha assunto il nome di Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Crimea, parte della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.Dopo la Seconda Guerra Mondiale, per punire la sua collaborazione con la Germania, le è stato tolto il titolo di repubblica autonoma, mentre la popolazione tartara (20% del totale) è stata deportata in Uzbekistan, venendo poi sostituita da immigrati russi. Nel 1954 fu "donata" da Nikita Khrushchev alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, nel tentativo di aumentare la percentuale di russi residenti in Ucraina. Nel 1991, con l'indipendenza dall'Ucraina, ha assunto il nome di Repubblica autonoma di Crimea.Nel 2014, a seguito della crisi politica, economica e diplomatica dell'Ucraina, la Crimea, dove la popolazione è in larga maggioranza russa, è stata riannessa da Mosca con un referendum, dove il 97,32% ha votato per il ritorno alla Russia. L'annessione non è mai stata riconosciuta dall'Ucraina e solo parzialmente a livello internazionale.La protesta della minoranza tartara, strenuamente contraria all'annessione, è rimasta inascoltata. Il libro di Williams ricompone accuratamente questa storia e cerca di immaginare le prospettive della questione tartara.Turcomanni e musulmani, i Tartari che vivono oggi in Crimea sono 260.000, ma esistono molte comunità in altre regioni dell'Europa centrale, orientale, del Caucaso e della Siberia, per un totale di oltre 10 milioni di persone.Brian Glyn Williams insegna Storia islamica alla University of Massachusetts di Dartmouth.Per altre informazioni:
www.hurstpublishers.com
Dauna: Lo que lleva el rio (tit. ingl. "Gone with the River") è il film del regista cubano Mario Crespo che è stato scelto per rappresentare il Venezuela alla competizione dell'ottantottesimo Academy Award (meglio noto come Oscar). Il celebre premio cinematografico sarà assegnato il 28 febbraio 2016.Si tratta del primo film venezuelano in lingua warao, che viene utilizzata insieme allo spagnolo.I Warao sono un popolo indigeno che vive nel nordest del Venezuela e nell'ovest della Guyana. Sono circa 20.000. Alcuni recitano nel film."Dauna: Lo que lleva el rio" presenta alcune affinità con "La ragazza delle balene" ("Whale Rider", 2002), diretto da Niki Caro e ambientato fra i Maori. Come Paikea, la protagonista di quest'ultimo film, Dauna cerca di superare le barriere che la sua cultura impone alle donne.Il film, presentato all'ultimo Festival di Berlino, aprirà il dodicesimo Festival internacional de cine y video de los pueblos indígenas, che si svolgerà a Temuco (Cile) dal 17 al 21 novembre.Per altre informazioni:
www.facebook.com/DaunaLoquellevaelrio
La minoranza turkmena (o turca) dell'Irak conta circa 600.000 persone e vive soprattutto nel nord del paese.Questa comunità si è formata in seguito a varie migrazioni provenienti dalla regione mesopotamica che sono iniziate nel settimo secolo d.C.Oggi la maggior parte dei suoi componenti discende da sudditi dell'impero ottomano - soldati, commercianti, etc.Per fare il punto sulla situazione di questa minoranza dimenticata - una delle tante martoriate dalla ferocia sanguinaria dell'ISIS - l'UNPO (Unrepresented Nations and Peoples Organization) ha organizzato una conferenza che si svolgerà l'11 novembre al Parlamento Europeo (Altiero Spinelli A5G-1, 60 rue Wiertz, Bruxelles) dalle ore 10 alle 12.30.Parteciperanno esponenti turkmeni, giornalisti, studiosi e personalità politiche.Per altre informazioni:
www.unpo.org
Il libro in questione non è una novità in senso stretto, essendo uscito in giugno, ma data la sua importanza dobbiamo parlarne comunque. Si tratta di Irlande, Pays Basque, Corse: Après l'adieu aux armes, Fiara éditions, Carbuccia 2015, pp. 500, €34), l'ultima opera dello storico corso Pierre Poggioli.Il volume fa il punto sulla situazione che si è creata nelle tre aree storiche del separatismo armato europeo - Corsica, Irlanda del nord e Paesi Baschi - dopo che i rispettivi movimenti indipendentisti hanno rinunciato alla lotta armata.Naturalmente si tratta di tre contesti molto diversi. I Paesi Baschi (spagnoli) godono di una larga autonomia del tutto ignota alla Corsica. In quest'isola la rinuncia alla lotta armata è molto recente (25 giugno 2014), mentre l'accordo di pace siglato dall'Irlanda del nord e dalla Gran Bretagna risale ormai al 10 aprile 1998.Queste sono soltanto alcune delle differenze che Poggioli evidenzia nel volume, tracciando un panorama preciso e perfettamente documentato.Le tre questioni, sottolinea l'autore, sono attuali ora più che mai, in quanto "hanno posto all'Europa un problema sostanziale".
Protagonista diretto della storia che racconta, Poggioli riesce comunque ad evitare la retorica e l'agiografia.Petru/Pierre Poggioli (Ajaccio, 6 febbraio 1950) è una figura storica del nazionalismo corso. Fondatore dell'Accolta Naziunali Corsa (ANC), membro dell'Assemblea regionale corsa (1984-1998), oggi è membro del movimento indipendentista Corsica Libera. Dottore in Scienze politiche,porta avanti un valido lavoro storico, concentrandosi sulle vicende politiche e sociali della sua isola. Fra i suoi libri ricordiamo "Journal de bord d'un nationaliste corse" (Éditions de l'Aube, 1996), "FLNC, années 1970" (DCL éditions, 2006), "IRA-ETA-FLNC: Trois mouvements armés en Europe" (Fiara éditions, 2012, Grand prix de l'Academie corse de Nice) e "Corse: Entre Néo-clanisme et Mafia (Fiara éditions, 2013).Per altre informazioni:
http://nutizie-nustrale.pgp-web.com
Uno dei problemi principali dei popoli indigeni è quello relativo alle terre dove abitano da secoli. In molti casi le dispute fra i governi e le associazioni indigene sono determinate dalla politica dissennata dei primi, che cercano di cacciare gli aborigeni per poter realizzare progetti faraonici dall'effetto ambientale devastante.Gli studi accademici sui problemi dei popoli indigeni, sempre più specifici e dettagliati, non potevano trascurare questo tema centrale.Uno dei più recenti è Land, Indigenous Peoples and Conflict (Routledge, London 2015, pp. 250, £90.00), curato da Alan C. Tidwell e Barry Scott Zellen.L'opera è una raccolta di saggi scritti da esperti autorevoli che coprono varie aree del pianeta: dalla Siberia (Marjorie Mandelstam Balzer) al Paraguay (Cheryl Duckworth), dall'Oceania (Spike Boydell) alle regioni artiche (Barry Scott Zellen). L'ampio ventaglio dei temi trattati comprende la legislazione che regola l'uso delle terre e la soluzione dei contrasti che oppongono i popoli indigeni ai governi. Inoltre non mancano saggi dedicati a popoli maggiormente trattati dalla cronaca, che però generalmente non li inquadra come indigeni, quali i Beduini del Negev (Israele) e i Fur del Darfur (Ciad).Alan Tidwell dirige il Center for Australian, New Zealand and Pacific Studies della Georgetown University.Barry Scott Zellen è uno studioso di questioni artiche e indigene.Per altre informazioni:
www.routledge.com
I fatti tragici che sono accaduti in Turchia nelle ultime settimane hanno aumentato ulteriormente l'attenzione mediatica per questo paese. Tale attenzione era già ben viva per motivi interni -la politica ambigua di Erdogan, la questione kurda- ed esterni -i rapporti con l'UE, i problemi determinati dall'avanzata dell'ISIS. Questo elenco potrebbe continuare, ma bastano i motivi suddetti per giustificare l'attenzione costante nei confronti della Turchia. Per capire appieno quello che si sta muovendo nel paese eurasiatico, in ogni caso, l'approccio frettoloso della cronaca non può bastare, ma sono necessari libri come Bosporus Reloaded: Die Türkei im Umbruch (Aufbau Verlag, Berlin 2015, pp. 335, €16,95). Scritto da Karen Krüger e Anna Esser, il libro compone un quadro preciso del burrascoso contesto sociale turco, mettendo in luce il rilievo geopolitico del paese, dove la lealtà atlantica stenta a conciliarsi con il ruolo di guida che Ankara cerca di assumere all'interno del mondo islamico.Anna Esser vive a Istanbul, dove lavora al Goethe-Institut.Karen Krüger, giornalista tedesca, è una specialista di temi politici e sociali turchi. Vive a Istanbul e scrive sul "Frankfurter Allgemeine Zeitung".Per altre informazioni:
www.aufbau-verlag.de
Si intitola Terra di i turmenti il documentario sui fermenti politici della Corsica odierna diretto da De Gaulle Eid.Il principale protagonista è l'abate Jean-Claude Mondoloni, ordinato sacerdote a 42 anni dopo una lunga serie di esperienze politiche. Nato in Libano nel 1939, membro dell'OAS e poi incarcerato per traffico d'armi, successivamente membro del FLNC (Fronte di Liberazione Naziunale di a Corsica), dopo quest'ultima tappa aderisce all'Accolta Naziunale Corsa, partito separatista fondato da Pierre Poggioli.Scritto da De Gaulle Eid e Jérôme Harlay, il documentario ripercorre gli ultimi 40 anni di storia corsa, segnati dallo scontro fra lo stato francese e i movimenti nazionalisti di diversi orientamenti. Non a caso una parte importante spetta anche a Edmond Simeoni, esponente ormai leggendario dell'autonomismo, da sempre ostile alla lotta armata e alla clandestinità.Filmato in Corsica e in minima parte in Libano, "Terra di i turmenti" ha l'ambizione di ricostruire un capitolo centrale della storia isolana e di farne un bilancio. Questo appare ancora più necessario dopo il 2014, anno che ha segnato il disarmo volontario del FLNC e quindi la fine della lotta armata.Un'opera stimolante, ricca di contenuti umani, politici e sociali, particolarmente adatta anche al pubblico italiano, che tranne pochissime eccezioni ignora del tutto questi fermenti che hanno segnato gli ultimi 40 anni.Il documentario uscirà il 21 ottobre.Per altre informazioni:
http://cined-production.com
Chi segue regolarmente questa mailing list avrà notato che quest'anno, ricorrendo il centenario del genocidio armeno, stiamo dedicando ampio spazio a questo anniversario. Al tempo stesso, però, ci siamo sforzati di farlo in modo vario: non segnalando solamente conferenze, libri e riviste, ma anche iniziative che potessero interessare un pubblico più ampio, come film, fumetti e dischi. Questo spiega perché oggi parliamo di Luys i Luso (ECM, 2015), il nuovo CD del pianista armeno Tigran Hamasyan. Il titolo significa "luce da luce" nella sua lingua. Il disco è espressamente dedicato al centenario del genocidio. Per realizzarlo l'autore ha scelto alcuni sharakan (canti liturgici armeni) e canti di vari connazionali, che ha poi arrangiato per piano e voce. Questa musica, che spazia dal V al XIX secolo, trova una nuova espressione drammatica attraverso la fantasia improvvisativa del pianista e l'intenso contributo vocale dello Yerevan State Chamber Choir (Yerevan è la la capitale della repubblica armena). Il risultato è un lavoro ricco di melodie originali e struggenti.Il compositore armeno sta promuovendo il nuovo disco con un tour che tocca varie città europee, fra le quali Lione (9 ottobre), Bergamo (11 ottobre), Losanna (13 ottobre) e Zurigo (14 ottobre).Tigran Hamasyan (17 luglio 1987, Gyumri) è un pianista jazz fortemente influenzato dalla tradizione armena. Fra i suoi dischi ricordiamo "A Fable" (Verve, 2011) e" Mockroot" (Nonesuch, 2015). Ha collaborato con vari musicisti, fra i quali Dhafer Youssef, col quale ha suonato in "Abu Nawas Rhapsody" (Jazzland Records, 2010).Per altre informazioni:
www.tigranhamsyan.com
www.luysiluso.com
I popoli indigeni possono essere protagonisti di racconti, poesie, opere teatrali, musical, fumetti... e allora perché non di un romanzo di fantascienza? È quanto accade in Binti, la nuova opera di Nnedi Okorafor.Il romanzo ruota attorno a Binti, la prima himba alla quale viene offerto di lavorare alla Oomza University, il più importante ateneo della galassia. Nella realtà, per inciso, gli Himba sono un popolo indigeno che vive in Angola e in Namibia (circa 50.000 persone).Ma accettare l'offerta significa abbandonare la famiglia e viaggiare nello spazio, dove Binti incontrerà stranieri che non rispetteranno la sua cultura... e non anticipiamo altro. Il romanzo si snoda felicemente toccando momenti drammatici. Un'opera insolita e stimolante."Binti" è disponibile in formato e-book, tascabile e audiolibro.Nnedimma Nkemdili Okorafor, nota anche col nome di Nnedi Okorafor-Mbachu (Cincinnati, 8 aprile 1974), è una scrittrice di fantascienza. Nei suoi lavori fonde tematiche americane con influenze culturali africane, dovute alle sue origini igbo (popolo nigeriano, lo stesso che venne sterminato durante la guerra civile del Biafra, 1967-70). Fra i suoi libri ricordiamo "The Shadow Speaker" (Hyperion/Disney, 2007) e "Akata Witch" (Viking/Penguin, 2011). Ha ricevuto numerosi riconoscimenti.Per altre informazioni:
www.tor.com