Il titolo può trarre in inganno: André Weckmann non era un compositore e la musica non c'entra.André Weckmann et la polyphonie alsacienne è un documentario sulla vita di un importante scrittore alsaziano (1924-2012) che ha dedicato la vita alla difesa di questa identità culturale minoritaria.Cresciuto in un ambiente dove si parla il dialetto alsaziano, viene arruolato a forza nella Wehrmacht quando la sua regione viene annessa al Terzo Reich. Fa quindi parte dei "Malgré-Nous", gli alsaziani che subiscono questo arruolamento. Ferito sul fronte russo, diserta e si unisce alla resistenza antinazista. Dopo la fine della guerra è molto attivo in campo culturale e didattico: scrive, insegna tedesco al liceo Neudorf di Strasburgo, scrive, anima alcune trasmissioni radiofoniche, mantiene stretti contatti con altri scrittori.Autonomista convinto e difensore del trilinguismo (alsaziano/tedesco/francese), ecologista, Weckmann è cofondatore del partito regionalistaFront culturel alsacien (Elsassischi Frunt). Nel 1999 è uno dei firmatari dell'appello col quale oltre 400 personalità alsaziane reclamano l'adesione francese alla Carta europea delle lingue regionali o minoritarie. Scrive una trentina di romanzi usando le tre lingue. Muore a Strasburgo il 29 luglio 2012.Fra i suoi numerosi lavori ricordiamo "Sechs Briefe aus Berlin" (Alsatia, 1969), "Simon Herzog, fragments de substance" (Société alsacienne et lorraine de diffusion et d’édition, 1992) e "Iss-Zit - Glaciation", (SALDE, 2011).Il documentario è stato realizzato dal Réseau Canopé e finanziato da vari organismi locali.Per altre informazioni:
www.reseau-canope.fr
Ormai una buona parte dei conflitti nazionalitari che un tempo godevano di scarso interesse ha guadagnato ampia visibilità mediatica: pensiamo alla Catalogna, al Kurdistan e alla Scozia, giusto per fare qualche esempio. Trattati in maniera confusa e frettolosa dalla stampa periodica, questi temi necessitano di un approccio attento e rigoroso che soltanto gli esperti possono fornire.Un esempo è il libro Autonomie und Selbstbestimmung in Europa und im internationalen Vergleich (Nomos Verlag, Baden-Baden/Zürich/Wien 2016, pp. 394, € 68).Il volume, curato da Peter Hilpold dell'Università di Innsbruck, raccoglie gli atti del convegno omonimo che si è tenuto in questo ateneo il 14 gennaio 2015.Le aree analizzate sono le più svariate: dal Sudtirolo al Québec, dall'Ucraina alla Catalogna. Vari saggi si concentrano su temi d'interesse e generale, come le implicazioni giuridiche e politiche della secessione e delle rivendicazioni territoriali in genere.Nel complesso il volume offre un panorama ampio e aggiornato di grande utilità.Al libro hanno contribuito esperti di altissimo livello, fra i quali Hans-Joachim Heintze, Eugenia López-Jacoiste, Rein Müllerson, Christoph Perathoner, Marco Pertile e Markku Suksi. Alcuni saggi sono in tedesco, altri in inglese. Peter Hilpold (Bolzano, 1965) insegna Diritto finanziario all'Università di Innsbruck. Esperto di diritto internazionale, ha pubblicato saggi su varie riviste accademiche. Ha curato fra l'altro "Kosovo and International Law. The ICJ Advisory Opinion of 22 July 2010" (Brill, 2012),"Neue europäische Finanzarchitektur. Die Reform der WWU", con Walter Steinmair (Springer, 2014) e "The Responsibility to Protect" (Brill/ Martinus Nijhoff, 2015). Fa parte del comitato di redazione di "Europa Ethnica".Per altre informazioni:
www.nomos.de
www.peterhilpold.com
Più volte abbiamo lamentato la scarsissima attenzione che l'editoria italiana riserva alla Corsica. Negli ultimi mesi, però, sono usciti due libri sulla storia recente dell'isola. Il primo -da noi segnalato il 20/11/2015- è "Corsica fatal, Malta baluardo di romanità: L'irredentismo fascista nel mare nostrum (1922-1942), scritto da Deborah Paci.Il secondo, uscito da poco, si intitola "L'occupazione italiana della Corsica: novembre 1942 - ottobre 1943" (Mursia, Milano 2016, pp. 374, € 20). L'autore è Fabrizio Carloni, giornalista e storico ben noto per i suoi scritti dedicati alla Seconda Guerra Mondiale. Il volume colma un vuoto: sembra impossibile, ma nonostante i fiumi d'inchiostro che sono stati versati sul fascismo e sulla Seconda Guerra Mondiale, in Italia non era ancora stato pubblicato un libro che ricostruisse l'invasione italiana della Corsica.Carloni inquadra la questione in maniera chiara e rigorosa, dedicando ampio spazio all'irredentismo corso e a numerosi avvenimenti ignorati dalla storiografia ufficiale. L'occupazione della Corsica, che Mussolini cercava di annettere facendo riferimento ai suoi legami linguistici con la penisola, fu l'ultima vittoria militare dell'Italia fascista, gestita con grande perizia e umanità dal generale Giovanni Magli. Un'opera indispensabile.Fabrizio Carloni (Roma, 1953), storico e giornalista, ha pubblicato numerosi libri, fra i quali ricordiamo "Il corpo di spedizione francese in Italia. 1943-1944" (Mursia, 2006) e "Gela 1943. Le verità nascoste dello sbarco americano in Sicilia" (Mursia, 2011)".Per altre informazioni:
www.mursia.com
Quest'anno ricorre il centenario della rivolta che ebbe luogo a Dublino nella settimana fra il 24 e il 30 aprile 1916, la cosidetta "Easter Rising" (rivolta di Pasqua, in gaelico Éirí Amach na Cásca). La rivolta di Pasqua inferse un colpo durissimo all'impero britannico: nel 1922 l'Irlanda avrebbe acquistato una certa autonomia diventando un dominion della Corona britannica, quindi avrebbe raggiunto l'indipendenza nel 1949. Purtroppo, come sappiamo, sarebbero rimaste soggette al dominio britannico le sei contee che oggi formano l'Irlanda del nord.Nei prossimi mesi, in diverse parti del mondo, si terranno numerose iniziative politiche, accademiche e culturali per ricordare questa data centrale della storia europea. Uno dei nostri collaboratori, Riccardo Michelucci, affermato esperto di storia irlandese, sarà a Dublino per seguire le iniziative che si terranno nella capitale irlandese. Avremo quindi modo di tornare sul tema.Per il momento, comunque, vogliamo segnalare un bel cofanetto di 5 CD, 101 Songs of English Rebellion (Dolphin Music, Dublin 2016, €19.95). Come tutti sanno, i popoli oppressi hanno sempre trovato nella musica un canale espressivo molto importante. Questo, se possibile, è ancora più vero per il popolo irlandese, la cui musica gode di ampio seguito anche in Italia.Il cofanetto contiene appunto 101 canzoni eseguite da vari artisti irlandesi, fra i quali Frances Black, Ronnie Drew, Dolores Keane, Johnny McEvoy, Paddy Reilly e Patsy Watchorn.Questo è uno strumento indispensabile per chi voglia capire appieno una delle più importanti rivolte anticolonialiste del secolo scorso.Per altre informazioni:
www.dolphinmusicgroup.com
La fine della Seconda Guerra Mondiale non segnò, come prometteva la propaganda americana, l'inizio di una pace perpetua: la guerra continuava in altri modi e in regioni remote. Subito dopo la fine del conflitto mondiale, infatti, cominciò il lungo calvario che avrebbe cambiato per sempre la vita degli indigeni micronesiani stanziati nelle isole Marshall. Fu appunto in quell'anno che iniziarono gli esperimenti nucleari americani. Fra il 1946 e il 1958 gli Stati Uniti fecero esplodere 66 bombe -alcune atomiche, altre all'idrogeno- "per il bene dell’umanità, per costruire un mondo senza guerre". Gli effetti furono devastanti. Sei isole furono cancellate. Centinaia di indigeni vennero contaminati sviluppando tumori e altre malattie ereditarie. Atolli come Bikini, Kwajalein e Rongelap vennero colpiti in modo particolarmente grave. Pochi e dimenticati da tutti, gli isolani tentarono comunque di opporsi alla grande potenza che rischiava di cancellarli per sempre.Si intitola Domination and Resistance: The United States and the Marshall Islands during the Cold War (University of Hawai'i Press, Honolulu [HI] 2016, pp. 264, $62) il volume che per primo si concentra sulla resistenza micronesiana all'espansionismo americano, colmando in questo modo una grave lacuna. Una storia ignota che meritava di essere conosciuta. Nel 1947 l'ONU attribuì agli Stati Uniti l'amministrazione fiduciaria delle isole Marshall, che è durata fino 1990. In pratica, però, non si tratta di uno stato indipendente, in quanto Washington continua a curarne la difesa e gli affari esteri. Ormai anche da parte ufficiale si è ammesso che gli indigeni erano stati esposti anche deliberatamente alle radiazioni, con lo scopo di studiare le conseguenze di una guerra atomica. Scritto da Martha Smith-Norris, il libro non si limita a ricostruire gli anni bui degli esperimenti nucleari, ma ricompone accuratamente la storia di quello che è successo dopo. La popolazione, fra l'altro, è stata evacuata varie volte per l'eccessivo grado di radioattività.Oggi, nel 2016, molte isole sono ancora disabitate per questo motivo, mentre le malattie si sono già trasmesse alla quinta generazione.Il libro di Martha Smith-Norris, oltre a raccontarci questa tragedia dimenticata, ci invita a onorare la memoria delle vittime e a ricordare che il colonialismo nucleare ha avuto conseguenze devastanti in varie regioni del pianeta, colpendo anche numerose comunità indigene.Martha Smith-Norris è docente di Storia alla University of Saskatchewan (Saskatoon, Canada). Si occupa della politica statunitense durante la Guerra Fredda, con particolare attenzione per l'area asiatica e oceanica. Ha pubblicato vari saggi su riviste accademiche.Per altre informazioni:
www.uhpress.hawaii.edu
Circa due mesi fa (12 dicembre 2015) abbiamo parlato della mostra "On Their Own: Britain's Child Migranta", attualmente allestita al Museum of Childhood di Londra, dove sarà visibile fino al 12 giugno. La mostra fa parte di un ambizioso progetto nato per far conoscere la tragedia dimenticata dei 130.000 bambini britannici che il governo costrinse a emigrare in in Australia e in altri paesi del Commonwealth dagli anni Sessanta dell'Ottocento agli anni Settanta del secolo successivo. L'obiettivo era quello di popolare le (ex) colonie e dotarle di manodopodera a basso costo: i bambini venivano infatti costretti a svolgere lavori di vario genere. Recentemente è uscito il libro legato al progetto, Remembering Child Migration: Faith, Nation-Building and the Wounds of Charity (Bloomsbury,London-New York 2016, pp. 192, $29.95/$112.00). L'autore è Gordon Lynch, curatore della mostra e responsabile dell'intero progetto.Esistevano già vari libri sul tema, ma questo è il primo che esamini il caso britannico insieme a quello simile che si verificò negli Stati Uniti. Dal 1850 al 1930, infatti, 200.000 bambini svantaggiati -insieme a molte migliaia di adulti- furono costretti a emigrare, soprattutto dalla costa orientale agli stati occidentali. I loro viaggi si svolgevano sui treni, detti appunto "orphan trains". Ma in realtà non tutt i bambini erano orfani: molti erano figli di prostitute, di genitori alcoolizzati, etc. Gordon Lynch insegna Teologia moderna alla University of Kent. Ha pubblicato varie opere, fra le quali ricordiamo "The Sacred in the Modern World: A Cultural Sociological Approach and On the Sacred" (Oxford University Press, 2012).
Per altre informazioni:
www.bloomsbury.com
Merita molta attenzione il numero monografico della rivista Storia in rete (123-124, gennaio-febbraio 2016) dedicato al tema "Foibe e esodo: Una tragedia italiana". Il fascicolo contiene vari articoli che approfondiscono il tema.Spiccano due interviste. La prima con Licia Cosseto, sorella di Norma Cossetto (1920–1943), una studentessa istriana che fu uccisa da alcuni partigiani jugoslavi vicino alla foiba di Villa Surani. L'altra col cantante Simone Cristicchi, autore dello spettacolo teatrale "Magazzino 18".I due temi - le foibe e l'esodo - sono due pagine della storia italiana che non sono ancora entrati appieno nella nostra memoria storica. Negati o minimizzati a lungo per motivi ideologici, sono stati riscoperti e valutati con una certa serenità solo recentemente. Il fascicolo in questione vuole facilitare ulteriormente questo processo.Il mensile "Storia in rete" è stato fondato nel 2005 da Fabio Andriola, che è tuttora il direttore. Diffuso nelle edicole, si concentra sui temi storici del Novecento.Per altre informazioni:
www.storiainrete.com
Il film Les exilés, ambientato nella Napoli di fine Settecento, ha per protagonista un soldato dell'esercito francese che parte alla ricerca di un esule corso. Non si tratta di un esule come tanti, ma del famoso Pasquale Paoli, padre dell'effimera Corsica indipendente (1755-1768).Il soldato deve consegnare a Paoli una misteriosa lettera...Mescolando abilmente fantasia e storia, il regista Rinatu Frassati ha realizzato un lavoro accurato e realistico.Rinatu Frassati, regista corso, è originario di Isula Rossa (Ile Rousse). Nella piazza centrale della cittadina spicca un busto di Paoli con la scritta "A P. de Paoli liberatore la patria riconoscente".Pasquale Paoli (1725-1807) è la figura più importante della storia corsa. Lo stesso Napoleone, prima di raggiungere la fama internazionale, fu un ardente sostenitore di Paoli e della Corsica indipendente, come attestano molti libri pubblicati in Francia ma ancora sostanzialmente ignoti in Italia.Per altre informazioni:
https://www.facebook.com/LesExilesLeFilm
La fine dell'Unione Sovietica non ha determinato soltanto l'indipendenza delle sue 15 repubbliche, ma ha anche innescato numerosi conflitti politici e territoriali che sembrano destinati a durare a lungo. I loro effetti sono evidenti, ma spesso vengono trattati in modo confuso e suerficiale. A mettere oridine in questa materia provvede l'Atlante geopolitico dello spazio post-sovietico di Simone Attilio Bellezza.Il volume (La Scuola, Brescia 2016, pp. 256, € 21,50) analizza un'ampia varietà di temi, fra i quali i conflitti della regione caucasica; i nuovi rapporti fra Russia e Bielorussia; i problemi delle minoranze etniche, religiose e linguistiche; lo sfruttamento delle risorse idriche e petrolifere; il ruolo delle Chiese ortodosse; la questione ucraina e le sue ricadute geopolitiche; i rapporti fra la Russia e le repubbliche baltiche. Il risultato è un panorama aggiornato e approfondito dell'area in questione.L'opera ospita contributi di Fabio Belafatti, Simone Attilio Bellezza, Oleksiy Bondarenko, Giovanni Cadioli, Andrea Griffante, Filippo Menga, Simona Merlo, Simone Piras, Alessandra Rognoni, Paolo Sorbello e Umberto Tulli.Simone Attilio Bellezza, esperto di storia dell'Ucraina e dell'Europa orientale, svolge attività di ricerca presso il dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento. Fa parte dell'AISU (Associazione italiana di studi ucraini). Ha pubblicato varie opere, fra le quali rcordiamo "Il tridente e la svastica. L’occupazione nazista nell'Ucraina centro-orientale" (Franco Angeli, 2010).Per altre informazioni:
www.lascuola.it
Dario Fo è noto per il proprio impegno sociale e politico. Ma a differenza di molti altri artisti impegnati, che trascurano i problemi delle minoranze e dei popoli indigeni, il celebre attore lombardo mostra un forte interesse per questi temi.Nel 1991 mise in scena "Johan Padan a la descoverta de le Americhe", un monologo teatrale in due atti ricco di spunti critici nei confronti della "scoperta" delle Americhe. Nello scorso novembre ha pubblicato "Storia proibita dell'America" (Guanda, 2015), dedicato specificamente alla lunga resistenza dei Seminole. Da quest'opera ha tratto uno spettacolo teatrale.Recentemente è uscito un altro libro, Razza di zingaro, dove Fo conferma l'attenzione per i temi che ci interessano.L'opera (Chiarelettere, Milano 2016, pp. 172, € 16,90) racconta una delle tante vicende dimenticate che non sono una sorpresa per chi segue i problemi delle minoranze . Il protagonista è Johann Trollmann (1907-1943), un pugile sinti attivo nella Germania nazionalsocialista.La sua carriera sportiva comincia con una serie di strepitose vittorie, una più emozionante dell'altra, alle quali il pubblico (soprattutto femminile) risponde con entusiasmo. Ma Johann è uno zingaro, quindi il suo successo viene ostacolato dal regime: nel 1933 gli viene revocato il titolo di campione dei pesi medi che aveva vinto. Perseguitato anche dopo, il pugile viene arrestato e rinchiuso nel campo di Neuengamme, vicino ad Amburgo. Qui muore il 9 febbraio 1943, ucciso da una pallottola.Grazie alla ricerca meticolosa di Paolo Cagna Ninchi, Dario Fo ricostruisce accuratamente questa vicenda tragica dimenticata. Dario Fo (San Giano, 1926) è uno dei principali attori e interpreti teatrali viventi. Nel 1997 gli è stato conferito il premio Nobel per la letteratura. La sua vita è stata caratterizzata dal profondo legame sentimentale e artistico con Franca Rame (1929-2013). Fra i suoi libri, molti dei quali sono legati a spettacoli teatrali, ricordiamo "Gesù e le donne" (Rizzoli, 2007), "Picasso desnudo" (Panini, 2012) e "C'è un re pazzo in Danimarca" (Chiarelettere, 2015).Per altre informazioni:
www.chiarelettere.it
www.dariofo.it
Nell'ultima fase dell'impero ottomano (1856–1922) le molte minoranze che lo componevano iniziarono a farsi sentire con atti di contestazione sempre più evidenti. Per quanto riguarda i greco-ortodossi di Istanbul, fu soprattutto attraverso la musica che questa comunità espresse la propria diversità culturale. Greek Orthodox Music in Ottoman Istanbul: Nation and Community in the Era of Reform (Indiana University Press, Bloomington [IN] 2015, pp. 288, $35.00), scritto da Merih Erol, analizza il tema in maniera approfondita. Attingendo a fonti religiose e laiche l'autrice fornisce un ampio panorama della musica bizantina, delle sue forme e delle sue implicazioni culturali. In questo modo appare chiaro come la musica rivestisse un peso culturale centrale che andava ben oltre la semplice espressione artistica. Il volume è integrato da alcuni brani disponibili su Internet.Merih Erol è Senior Fellow alla Koç Üniversitesi di Istanbul. Ha collaborato con varie università e con vari centri accademici.Per altre informazioni:
www.iupress.indiana.edu
Nel periodo fra le due guerre mondiali la Bretagna conobbe dei fermenti politici e culturali che si intrecciarono strettamente col fascismo e col nazionalsocialismo. Alcuni circoli bretoni sostennero apertamente queste due dittature, non per un'effettiva consonanza ideologica, ma soltanto perché credevano che la vittoria dell'Asse avrebbe permesso alla Bretagna di diventare indipendente.I principali esponenti di questo ambiente erano quattro: Raymond Delaporte, Yann Fouéré, Celestine Lainé e Olier Mordrel. Quest'ultimo fu tra i fondatori del giornale "Breiz Atao" ("Bretagna sempre"), del Parti autonomiste breton e del Parti national breton.Considerati a lungo dei semplici collaborazionisti, questi militanti vengono finalmente inquadrati in maniera più articolata e complessa dal libro Breiz Atao! Mordrel, Delaporte, Lainé, Fouéré: une mystique nationale (1901-1948), scritto da Sébastien Carey.L'opera (Presses Universitaires de Rennes, pp. 610, € 25) ripercorre la vita dei quattro attivisti dalla nascita all'esilio in Irlanda o in Argentina. Inoltre compara il movimento bretone ad altri ambienti culturali non-conformisti attivi all'epoca in Francia e in Europa. Grazie a questo approccio l'ambiente politico-culturale analizzato acquista la profondità e la complessità che consente al lettore - anche a quello digiuno della materia - di conoscere correttamente questa pagina di storia europea.Sébastien Carney, docente di Storia contemporanea all'Universitè de la Bretagne Occidentale (Brest), è uno specialista dei movimenti politici bretoni, del regionalismo e del separatismo. Per altre informazioni:
www.pur-editions.fr
I Sami, più noti come Lapponi, sono l'unico popolo aborigeno del Vecchio Continente. Oggi sono divisi fra quattro stati contigui (Finlandia, Norvegia, Russia e Svezia). Negli ultimi quarant'anni hanno svolto un ruolo molto importante all'interno del movimento indigeno mondiale, organizzando varie iniziazive di collegamento fra popoli lontani che non erano mai entrati in contatto fra loro. Sono stati molto attivi anche a livello locale, cercando di sviluppare strutture politiche capaci di difendere i loro diritti territoriali, politici e culturali.Il libro Indigenous Rights in Scandinavia: Autonomous Sami Law (Ashgate, London 2015, pp.250, £70.00), curato da Christina Allard, analizza la situazione legale dei Sami in tre stati (Finlandia, Norvegia e Svezia) e la paragona a quella di alcuni popoli indigeni extraeuropei, con particolare attenzione al Canada e alla Nuova Zelanda.L'opera sottolinea le differenze fra i paesi scandinavi e quelle fra i paesi extraeuropei suddetti e i primi. Inoltre dimostra che nonostante questi approcci diversi le soluzioni sperimentate presentano molti punti in comune."Indigenous Rights in Scandinavia: Autonomous Sami Law" è un lavoro di grande spessore scientifico che arricchisce la bibliografia di studi sui Sami, finora abbastanza scarsa. Al libro hanno contribuito prestigiosi esperti della materia, fra i quali Nigel Bankes, Bertil Bengtsson, Tanja Joona e Kristina Labba.Per altre informazioni:
www.ashgate.com
Nel 1978 Gilbert Trigano, presidente dello Sporting Club Bastia (SCB, la principale squadra della città) propose al celebre regista Jacques Tati di realizzare un documentario dedicato a un grande avvenimento calcistico: la finale della coppa UEFA che avrebbe opposto lo SCB al PSV Eindhoven. Tati, appassionato di sport, accettò con entusiasmo e realizzò "Forza Bastia", che fu il suo ultimo lavoro.Il documentario coglie appieno le grandi speranze dei tifosi bastiacci e la delusione che derivò dalla sconfitta della loro squadra, che fu battuta 3-O.Jean-Pierre Mattei, autorevole studioso corso del cinema, è l'autore di Le dernier film de Jacques Tati: Forza Bastia 78, l'Île en fête, nel quale ha ricostruito l'intera vicenda.Il volume (Editions Alain Piazzola, Ajaccio 2015, pp. 157, € 15) è molto interessante anche per chi non segue il calcio, perché documenta un entusiasmo popolare al quale concorse anche il risveglio del nazionalismo isolano. Tre anni prima, in seguito ai tragici fatti di Aleria, la lotta identitaria del popolo corso aveva acquistato piena visibilità. Jean-Pierre Mattei, fondatore della cineteca regionale "Casa di Lume" di Portovecchio, ha pubblicato vari libri sul cinema, fra i quali "La Corse, les Corses et le cinéma" (Editions Alain Piazzola, 2008).Per altre informazioni:
apiazzola@wanadoo.fr
http://casadilume.corse.fr
Molto probabilmente nessun giornale ne parlerà, ma noi sentiamo il dovere morale di farlo. L'anno che sta per finire segna il 150º anniversario della fondazione del Ku Klux Klan, la più nota organizzazione razzista statunitense. A prima vista può sembrare difficile spiegare perché nella "grande democrazia americana" il KKK sia tuttora attivo e legale, ma la cosa appare normale se si accantonano i luoghi comuni che vedono nella federazione nordamericana "la più grande democrazia del mondo".
La guerra civile sta ormai per finire. Il 14 aprile 1865 il Presidente Lincoln viene ucciso da John Wilkes Booth, simpatizzante della causa sudista. Il 18 dicembre, pochi mesi dopo la fine della guerra, viene abolita la schiavitù.Qualche giorno più tardi, il 24 dicembre, alcuni reduci dell'esercito sudista si riuniscono a Pulaski (Tennessee) e fondano il Ku Klux Klan. Il loro obiettivo è chiaro: riaffermare il primato della "razza bianca". A questo scopo vengono subito organizzate azioni terroristiche nei confronti della minoranza afroamericana, dalla semplice intimidazione all'omicidio. Anche i militanti repubblicani vengono perseguitati. Nel libro "Setting the Record Straight: American History in Black & White" (WallBuilders, 2004) David Barton ricostrusice dettagliatamente la storia del KKK, sottolineando che le sue radici sono da ricercarsi nel Partito democratico. Col passare degli anni, però, aderiranno anche molti repubblicani. Cinque presidenti entrati in carica fra il 1897 e il 1945 hanno fatto parte del KKK: William McKinley, Woodrow Wilson, Warren Harding, Calvin Coolidge e Harry Truman.A questi nomi potremmo aggiungere una lista sconfinata, ma ci limitiamo a qualche esempio: John Clinton Porter, democratico, sindaco di Los Angeles; Edward L. Jackson, repubblicano, governatore dell'Indiana; Bibb Graves, democratico, governatore dell'Alabama.Col tempo il KKK si è trasformato, passando da una struttura centralizzata a una miriade di piccoli gruppi autonomi.La rimozione colpevole di questa pagina storica è ancora più evidente se facciamo un sommario paragone con l'apartheid sudafricano. Questo, pur ignobile e disumano, non si traduceva in una pratica schiavista. Rimasto in vigore dal 1948 a 1993, l'apartheid fu giustamente dichiarato un crimine internazionale. Ma che cosa si dovrebbe dire dello schiavismo, che per due secoli e mezzo (1619-1865) aveva trasformato i neri in proprietà privata dei latifondisti bianchi? Che senso ha condannare i crimini contemporanei se poi si dimenticano crimini passati ancora più gravi? Un'altra differenza importante merita di essere sottolineata. La fine dell'apartheid, tranne episodi sporadici, non ha lasciato strascichi, mentre all'abolizione della schiavitù è sopravvissuto un razzismo tangibile. Tanto è vero che sono state necessarie le lotte antirazziste di Martin Luther King e Malcolm X. Senza contare gli episodi che periodicamente leggiamo sui giornali. Il Ku Klux Klan non é stato mai messo fuorilegge. Se questo è il paese che molti continuano a considerare un modello universale di libertà e di di giustizia, evidentemente stiamo parlando di due pianeti diversi.
Le varie forme di autonomia realizzate in Europa stimolano i contatti fra le regioni che le hanno sperimentate e quelle extraeuropee dove ci si chiede se certe soluzioni siano applicabili anche a loro. Uno dei casi più studiati è quello sudtirolese. Meno conosciuta da noi, ma altrettanto interessante per chi segue la materia, è l'autonomia delle isole Aland, un piccolo arcipelago situato nel Golfo di Botnia, fra la Svezia e la Finlandia. Appartenenti a quest'ultimo paese, le isole sono abitate da svedesi.Il regime di cui godono si basa su tre principi: autonomia, tutela della minoranza e neutralità (le isole sono demilitarizzate).A questo regime, probabilmente il migliore che si trova oggi in Europa, guardano con attenzione diverse regioni extraeuropee. Una di queste è la parte musulmana di Mindanao, l'isola più meridionale dell'arcipelago filippino.In termini amministrativi l'isola include due province: Mindanao settentrionale e Mindanao musulmana. Quest'ultima, come l'isola di Palawan, ha una consistente presenza islamica. Dopo il lungo conflitto armato fra il movimento separatista musulmano e il governo, terminato nel 1996, Manila ha varato un piano di autonomia che non ha ancora risolto il problema.In Comparative Research Report about the Åland Example and the Autonomous Region of Muslim Mindanao il politologo Gustav Blomberg esamina la possibilità di applicare alcuni elementi della soluzione finlandese al caso filippino. Il suo studio, stimolante e accurato, è pubblicato dal Peace Alands Institute e può essere scaricato dal sito:
www.peace.ax/images/stories/pdf/Report_2-2015_Blomberg_webb.pdf
Trentacinque scrittori e artisti corsi si sono uniti per realizzare un'antologia di testi contro il razzismo e la xenofobia. In questo modo è nato Tarra d'accolta: A Corsican Bookmob. 35 auteurs insulaires contre le racisme et la xénophobie (À Fior di Carta, Barrettali 2015, pp. 256, € 15).L'idea di realizzare questa opera collettiva è nata in seguito all'appello col quale Jean-Pierre Santini, scrittore nazionalista e titolare della casa editrice, aveva sottolineato la crescita dell'intolleranza nei confronti degli immigrati. Nel volume viene rivendicata la storia multiculturale della Corsica, segnata da influenze italiane, francesi e nordafricane: il titolo significa "terra d'accoglienza". Visti i tradici fatti parigini del 13 novembre, purtroppo, Santini aveva visto giusto. Fra gli autori, Frédéric Bertocchini, Xavier Casanova, Jean Chiorboli, Henri Etienne Dayssol, Danièle Maoudj, Marilyne Paoli e Ugo Pandolfi. e Norbert Paganelli.Per altre informazioni:
www.afiordicarta.net
Nei giorni scorsi è uscito Forse, il primo CD della giovane cantautrice corsa Diana Saliceti.L'artista, nata nel 1989 ad Ajaccio, non è comunque un'esordiente, dato che aveva collaborato con gruppi isolani come Santavuglia, l'Altagna e Dopu Cena. Fortemente legata alla cultura corsa, ha appreso l'arte della polifonia da Natale Luciani (1949-2003), figura centrale del mondo musicale e politico locale, fondatore del gruppo Canta u popolu corsu.Il disco, cantato in corso, contiene 14 brani, la maggior parte dei quali scritti dalla cantante insieme al chitarrista Barthélémy Amidei.
Il gruppo che accompagna la protagonista è composto da Stéphane Albertini (chitarra acustica e mandolino), Miché Dominici (batteria), Arnaud "Nano" Méthivier (fisarmonica), Martial Paoli (piano), Nicolas Torracinta (chitarre acustiche ed elettriche) e Jean-Marie Gianelli (basso).Con questo lavoro raffinato e spontaneo Diana Saliceti si inserisce a pieno titolo nel panorama ormai abbastanza ampio delle voci femminili isolane, che vanta artiste come Battista Acquaviva, Patrizia Gattaceca e Patrizia Poli. La giovane artista è anche giornalista e collabora al quotidiano "Corse Matin".Per altre informazioni:
www.facebook.com/diana.saliceti
Il termine "Asia minore" evoca un complesso intreccio di riferimenti storici, culturali e religiosi. Dall'impero bizantino a quello ottomano, per poi approdare alla Turchia, questa regione ha perduto una buona parte della propria ricchezza culturale proprio in seguito alla nascita di questa repubblica. Lo sradicamento delle minoranze cristiane - Armeni, Assiri e Greci - è stato portato avanti in tutti i modi, incluso il genocidio. Poi il nuovo potere ha dovuto fare i conti con una minoranza in prevalenza musulmana molto più consistente, quella kurda.Il centralismo violento di Ankara ha generato così varie diaspore, alle quali si è aggiunta in tempi più recenti quella turca. Il libro De l'Asie Mineure à la Turquie: Minorités, homogénéisation ethno-nationale, diasporas (CNRS, paris 2015, pp. 412, € 26), scritto da Michel Bruneau, ci permette di conoscere in modo dettagliato il romanzo tragico che è stata la storia della grande penisola eurasiatica.L'approccio multidisciplinare dell'autore si rivela particolarmente utile per comprendere le tante implicazioni geopolitiche della regione, che conserva un ruolo centrale nella politica odierna.Michel Bruneau, geografo ed ellenista, ha scritto vari libri, fra i quali "Diasporas et espaces transnationaux" (Anthropos, 2004) e "L'Asie d'entre Inde et Chine" (Belin, 2006).
www.cnrseditions.fr
La caduta dei regimi comunisti europei ha stimolato un notevole interesse verso le minoranze che popolano gli stati centrali e orientali del Vecchio Continente: pensiamo agli Albanesi del Kosovo, agli Ungheresi della Transilvania, ai Turchi della Bulgaria. Nonostante questo, alcune minoranze sono rimaste ignote come prima. Fra questi ci sono i Ruteni, una minoranza slava stanziata in Slovacchia e in Ucraina.Un ottimo strumento per conoscere la loro storia è With Their Backs to the Mountains: A History of Carpathian Rus and Carpatho-Rusyns (Central European University Press, Budapest 2015, pp. 550, €64.00/€34.00), scritto da Paul Robert Magocsi.Sei stati dell'Europa centrale - Repubblica Ceca, Croazia, Polonia, Serbia, Slovacchia e Ungheria - riconoscono questa minoranza. Nel 2007, inoltre, i Ruteni sono stati ufficialmente riconosciuti anche dalla Transcarpazia, la regione sudoccidentale dell'Ucraina confinante con la Slovacchia e con l'Ungheria.Il volume di Magocsi, uno dei migliori esperti del tema, lui stesso di origine rutena, ricompone in modo estrememnete accurato la storia di questo popolo e delle traversie che ha vissuto, prima sotto l'impero asbirgico, poi sotto l'URSS, fino ai diversi stati nati in seguito allafine del comunismo.Per finire, una piccola curiosità: Andy Warhol (1928-1987), il noto pittore e regista statunitense, era nato col nome di Andrew Warhola jr. da immigrati ruteni.Paul Robert Magocsi (Englewood, New Jersey, 1945) dirige la cattedra di Studi ucraini dell'Università di Toronto. Ha pubblicato molti libri, fra i quali ricordiamo "A History of Ukraine" (University of Toronto Press, 1996) e "The Roots of Ukrainian Nationalism: Galicia as Ukraine's Piedmont" (University of Toronto Press, 2002).Per altre informazioni:
www.ceupress.com