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Polinesia, un paradiso che muore

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Negli ultimi secoli molti spiriti inquieti e avventurosi hanno subito il fascino della Polinesia e dell'Oceania in generale. Basti pensare a Dea Birkett, Paul Gauguin o Jack London. Ispirati da quelle isole lontane, molti di loro ci hanno lasciato dei documenti preziosi: romanzi, racconti dei loro viaggi, disegni. 
Una testimonianza di particolare interesse è quella che ci ha lasciato Alain Gerbault (1893-1941), un navigatore francese che trascorse gli ultimi anni della propria vita nelle isole polinesiane. Gerbault non si limitò a visitare la vasta regione vagando da un'isola all'altra,ma scrisse alcuni libri che esaltano la cultura polinesiana e condannano la loro aggressione da parte della civiltà industriale.
Uno di questi libri ("Un paradis se meurt", 1949) è stato pubblicato recentemente in italiano: Polinesia, un paradiso che muore, untitolo che coglie appieno la sostanza del messaggio di Gerbault ed esprime perfettamente il suo grido disperato di ribellione.
L'opera (Mare Verticale, Grancona [Vicenza] 2014, pp. 300, € 18) è il suo canto d'amore per la Polinesia, alla quale il navigatore dedicò i suoi ultimi anni di vita e le sue ultime forze. 
Il grido di protesta levato da Gerbault suona profetico. Negli anni Sessanta, dopo l'indipendenza dell'Algeria, la Francia cercherà unnuovo territorio per gli esperimenti nucleari che faceva nel Sahara. Scartata la Corsica in seguito alle proteste locali, Parigi individuerà nella Polinesia "francese" il luogo adatto per continuare le sue esercitazioni. 
Il libro di Gerbault rappresenta una lettura molto utile, se non obbligatoria, per coloro che hanno a cuore la diversità culturale.
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