homepage » Recensioni
spacerprevious1  2  3  4  5  6  7  8  9  10  11  12  13  14  15  16  17 spacerspacer

Luoghi santi e "Stato Islamico"

Stimolante e concentrato su due temi di grande attualità, il nuovo numero di "Eurasia" dedica il suo consueto dossier al tema Luoghi santi e "Stato Islamico". In realtà si tratta di due dossier distinti. 
Il primo, che propone un'ampia ricognizione storica dei luoghi santi di varie religioni, spazia dall'India all'Anatolia, dal Medio Oriente alla Russia.
Particolarmente utile e interessante il dossier sull'ISIS (Islamic State of Iraq and Syria, DAESH nell'acronimo arabo). La rivista diretta da Claudio Mutti, come di consueto, offre spunti di riflessione alternativi per comprendere un fenomeno di cui si discute e si scrive molto ma di cui si capisce molto poco. Anche i "programmi di approfondimento" (La gabbia, Matrix, Piazzapulita, etc.), tranne rarissime eccezioni, alimentano questa confusione.
Il numero tratta dell'ISIS rifiutando la vulgata diffusa dalla maggioranza dei media europei e occidentali, secondo i quali sarebbe in corso uno scontro fra le potenze occidentali e il radicalismo islamico incarnato dall'ISIS. Al contrario, spiega Spartaco Alfredo Puttini, esiste una salda alleanza fra l'imperialismo americano e l'islamismo reazionario jihadista sponsorizzato dagli emiri del Golfo.
I saggi del dossier sono firmati da Enrico Galoppini, Gilles Munier, Lorenzo Salimbeni e Jean-Michel Vernochet.
Completano il numero una scelta di documenti e due articoli sulla crisi ucraina.
Per altre informazioni:
 

Una rivoluzione ci salverà:
Perché il capitalismo non è sostenibile

La parola "capitalismo" contiene un complesso intreccio di riferimenti economici, politici e culturali: dalla ripresa economica del secondo dopoguerra all'egemonia planetaria degli Stati Uniti, dal comunismo al successo di imprenditori come Silvio Berlusconi, Luciano Benetton e i loro numerosi omologhi stranieri.  
Negli ultimi 25 anni, però, la carica emotiva legata a questo concetto si è affievolita. I motivi sono tanti: la fine del comunismo europeo e i mutamenti di quello cinese; le incontestabili conseguenze ambientali del modello capitalista e il dibattito sui mutamenti climatici; il moltiplicarsi di voci critiche svincolate da visioni ideologiche.
Fra queste spicca Naomi Klein, la giornalista canadese diventata celebre con "No logo", che ha pubblicato un altro libro sullo stesso tema,Una rivoluzione ci salverà: Perché il capitalismo non è sostenibile (Rizzoli, Milano 2015, pp. 733, € 22).    
Ormai sembrano lontani i tempi in cui il capitalismo veniva accettato o rifiutato in seguito a motivazioni ideologiche: come dimostra Naomi Klein, oggi è una questione di sopravvivenza che impone l'abbandono di questo modello.
Il capitalismo, in altre parole, non è più sostenibile. Secondo l'autrice, soltanto attraverso cambiamenti radicali nella produzione e nella gestione delle attività economiche sarà possibile evitare il peggio.
Che fare allora? La soluzione è una sola: si è speso così tanto tempo in discussioni inutili - con l'unico effetto di non decidere niente -che se volessimo veramente salvarci dal peggio dovremmo affrontare tagli così massicci alle emissioni da mettere in discussione la logica fondamentale dell'economia mondiale: la crescita del PIL. L'alternativa proposta da Naomi Klein non è la solita "green economy", rivelatasi inconsistente, ma un mutamento radicale del nostro stile di vita: "La buona notizia - aggiunge - è che molti di questi cambiamenti non sono affatto catastrofici; al contrario, sono entusiasmanti".
Ovviamente questo è un libro per tutti, ma dovrebbe esser letto con particolare attenzione da chi si batte per i popoli indigeni, dato che  questi hanno sperimentato per primi gli effetti devastanti di una logica fondata sullo sfruttamento irresponsabile delle risorse naturali. Temi come il disboscamento dell'Amazzonia o l'inquinamento determinato dall'estrazione di uranio in varie parti del mondo non erano cause eccentriche di sessantottini smessi, ma i primi segnali di una devastazione ambientale che oggi rischia di travolgere l'intero pianeta.
Naomi Klein (Montréal, 8 maggio 1970), scrittrice e attivista, ha pubblicato diversi libri, fra i quali "No logo. Economia globale e nuova contestazione (Baldini & Castoldi, 2001) e "Shock economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri" (Rizzoli, 2007).
Per altre informazioni:
 

The Contemporary Conflict Resolution Reader

Contrariamente ai buoni propositi che erano stati formulati dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel corso degli ultimi settant'anni il pianeta è diventato teatro di guerre e conflitti di vario tipo. La gravità della situazione ha indotto alcuni studiosi a elaborare varie teorie che potessero risolverli. Il libro The Contemporary Conflict Resolution Reader (Polity Books, Cambridge 2015, pp.408, £24.99/£80.00) offre un utile panorama di queste teorie. Il volume è curato da Hugh Miall, Tom Woodhouse, Oliver Ramsbotham e Christopher Mitchell.
I saggi spaziano da temi generali come i rapporti fra i conflitti e i mutamenti climatici all'analisi di casi specifici (Kenya, Irlanda nel nord, Iraq, etc.). Fra gli autori, Ed Azar, Kenneth Boulding, John Burton, Vèronique Dudouet, Marie Dugan, Mari Fitzduff, Diana Francis e Johan Galtung Hugh Miall insegna Relazioni internazionali alla University of Kent.
Tom Woodhouse insegna Risoluzione dei conflitti alla University of Bradford.
Oliver Ramsbotham è Professore Emerito di Risoluzione dei conflitti alla University of Bradford. Christopher Mitchell è Professore Emerito di Risoluzione dei conflitti alla George Mason University.
Per altre informazioni:
 

Identités et politique:
De la différenciation culturelle au conflit

I conflitti derivati da rivendicazioni identitarie - autonomia, indipendenza, diritti religiosi e linguistici - sono sempre più numerosi. In certi casi rappresentano una minaccia per gli stati in cui si manifestano. Il libro Identités et politique: De la différenciation culturelle au conflit (Presses de Sciences Po, Paris, pp. 304, € 25) ne analizza tre: Iran, Pakistan e Turchia.
Si tratta di un volume collettaneo curato da Gilles Dorronsoro e Olivier Grojean.
L'opera analizza temi come la situazione della minoranza alevita della Turchia; la questione kurda in Iran e Turchia; la guerriglia urbana dei Baluci in Pakistan; la situazione della minoranza azera in Iran, etc. In certi casi, come si vede, si tratta di questioni che figurano regolarmente sui giornali; in altri casi, pur se meno noti, sono importanti a livello regionale e hanno spesso ricadute internazionali.
Fra gli autori, tutti esperti di vaglia, spiccano Benoît Fliche, Élise Massicard, Chirine Mohséni, Christine Moliner e Gilles Riaux.
Gilles Dorronsoro, ricercatore in Scienze politiche, è esperto di temi afgani e turchi. Ha pubblicato molti libri, fra cui "La révolution afghane, des communistes aux tâlebân" (Khartala, 2000) e "La Turquie conteste. Régime sécuritaire et mobilisations sociales" (CNRS, 2005). 
Olivier Grojean, sociologo, insegna al CERIC-CNRS (Aix-en-Provence). 
Per altre informazioni:
 

Yearbook for Traditional Music 46/2014

È uscito il nuovo Yearbook for Traditional Music (46/2014), il volume annuale pubblicato dall'International Council for Traditional Music.  Gli articoli si concentrano sui temi trattati durante l'ultima conferenza promossa da questo organismo, che si è svolta a Shanghai nel 2013. Come impone la materia, il libro contiene una grande varietà di contributi: articoli, recensioni di CD, film, libri e siti. 
Numerosi gli autori, fra i quali Helen Hahmann, Noel Lobley, Marion MacLeod, Julio Mendívil, Robin Moore, Inna Naroditskaya e Timothy Rice.
Il risultato è un panorama veramente unico della diversità musicale che caratterizza il nostro pianeta.
Il volume, diretto da John Lawrence Witzleben (The Chinese Unversity of Hong Kong), viene inviato soltanto ai membri dell'ICTM.
L'International Council for Traditional Music è stato fondato nel 1947. Il primo presidente fu il celebre compositore inglese Ralph Vaughan Williams. Oggi gode di status consultivo presso l'UNESCO. La sua 43esima conferenza internazionale si terrà ad Astana (Kazakhstan) dal 16 al 22 luglio 2015.
Per altre informazioni:
 

Music and Minorities from Around the World:
Research, Documentation and Interdisciplinary Study

Dal 1997 "Music and Minorities", un gruppo internazionale di studiosi coordinato dall'etnomusicologa viennese Ursula Hemetek, conduce una preziosa indagine sulle espressioni musicali delle minoranze. Questa attività si esplica soprattutto in convegni internazionali biennali e nei volumi che ne raccolgono gli atti. L'ultimo è Music and Minorities from Around the World: Research, Documentation and Interdisciplinary Study (Cambridge Scholars Publishing, Newcastle upon Tyne 2014, pp. 230, £47.99).
Il libro, curato da Ursula Hemetek, Essica Marks e Adelaida Reyes, ospita le relazioni che sono state presentate al penultimo convegno del gruppo di studio, tenutosi nel 2012 a Zefat (israele).
Dalla musica soraba a quella degli ebrei sefarditi, dalla Finlandia agli Stati Uniti, il libro offre un'ampia varietà di analisi stimolanti sulla materia.
Fra gli autori, oltre alle tre curatrici, troviamo esperti come Yves Defrance, Gerda Lechleitner, Tereza Nowak, Jessica Roda e altri. Anche se si tratta di testi scritti da specialisti, comunque, il linguaggio risulta comprensibile anche ai non addetti ai lavori.
L'ICTM ha vari gruppi di studio che si concentrano su aree geografiche e temi specifici: Africa, archeologia musicale, Europa sudorientale, Mediterraneo, mondo arabo, mondo turcofono, Oceania, sudest asiatico, etc. 
Ursula Hemetek, etnomusicologa, dirige l'Institut für Volksmusikforschung und Ethnomusikologie dell'Università di Vienna. Fra le sue opere, "Mosaik der Klänge: Musik der ethnischen und religiösen Minderheiten in Österreich" (Böhlau 2001) e "Die andere Hymne. Minderheitenstimmen aus Österreich" (curatrice, Verlag ÖDA, 2006). Inoltre ha curato vari CD.
Essica Marks, etnomusicologa, é ricercatrice al Jewish Music Research Centre dell'Università di Gerusalemme. Autrice di varie pubblicazioni, ha curato il CD "The Western Sephardi Liturgical Tradition" (Jewish Music Research Centre, 2004) insieme a Edwin Seroussi.
Adelaida Reyes, etnomusicologa, è Professore Emerito di Musica alla New Jersey City University. Fra le sue pubblicazioni segnaliamo "Songs of the Caged, Songs of the Free: Music and the Vietnamese Refugee Experience (Temple University Press, 1999.
Per altre informazioni:
 

Endangered Languages and New Technologies

Negli ultimi 15-20 anni lo sviluppo delle nuove tecnologie si é rivelato una prezioso alleato delle lingue che rischiano di scomparire. La possibilità di archiviare suoni e testi, così come quella di realizzare traduttori e correttori telematici, è stata accolta con grande interesse dalle associazioni, dagli studiosi e dalle amministrazioni locali che si occupano di questo tema.
Anche l'Italia è impegnata in questo senso: basti pensare alla ditta Smallcodes, fondata a Firenze da Carlo Zoli per difendere la diversità linguistica con i mezzi offerti dalle nuove tecnologie. A tale scopo realizza siti, traduttori e correttori in linea per lingue minoritarie come ladino, occitano, sardo, etc.
Su questo tema si concentra Endangered Languages and New Technologies(Cambridge University Press, Cambridge 2014, pp. 228, $99.00), curato da Mari C. Jones.
Il volume attinge a studi recenti sulle lingue minacciate di varie parti del mondo - Europa, Asia, Africa, Americhe - mettendo in evidenza quello che si sta facendo per scongiurarne la scomparsa. Al tempo stesso sottolinea che le tradizionali tecniche di documentazione non vanno abbandonate, perché combinandosi con quelle nuove possono rivelarsi molto utili. 
I saggi sono di Nicholas Ostler, Aimée Lahaussois, Sjef Barbiers, Hugh Paterson, Matt Coler, Petr Homola, Dorothee Beermann, Russell Hugo, Bernard Bel, Médéric Gasquet-Cyrus, Anthony Scott Warren, Geraint Jennings, Tjeerd de Graaf, Cor van der Meer, Lysbeth Jongbloed-Faber, Cecilia Odé e Jeffrey E. Davis.
Mari C. Jones è Lettrice di Lingua e linguistica francese all'Università di Cambridge. Fra le sue opere si ricorda "Keeping Languages Alive"
(2013, che ha curato insieme a Sarah Ogilvie.
Per altre informazioni:
 

Political Rebellion:
Causes, Outcomes and Alternatives

Nell'ultimo mezzo secolo la ribellione politica si è manifestata nei modi più diversi in ogni parte del mondo. Dai movimenti latinoamericani di ispirazione castrista allle cosidette "primavere arabe", milioni di persone hanno scelto di rischiare la vita e/o hanno messo in pericolo quella degli altri (spesso civili) per raggiungere i propri obiettivi.
Il nuovo libro di Ted Robert Gurr, Political Rebellion: Causes, Outcomes and Alternatives (Routledge, London 2015, pp. 292, $45.95/$160.00)
offre un'analisi approfondita e aggiornata del tema, partendo dai fenomeni postcoloniali per arrivare fino ai nostri giorni. 
Minoranze, movimenti islamisti, guerre, rivoluzioni e temi analoghi si alternano in questo volume scritto da uno dei massimi esperti della materia. Frutto di mezzo secolo di ricerche sociologiche e politologiche, il libro contiene una grande quantità di spunti e di riferimenti utili a chi volesse amplliare ulteriormente l'indagine sui temi in questione.
L'ultima sezione del libro si compone di quattro saggi che si concentrano sul continente africano.
Ted Robert Gurr (Spokane, 1936) è Professore Emerito del Department of Government and Politics della University of Maryland (Stati Uniti).
Ha fondato il Center for International Development and Conflict Management. Noto per i suoi ottimi studi sui conflitti sociali e politici, ha pubblicato molte opere, fra le quali "Why Men Rebel" (1970, 2010), "Violence in America" (1969, 1979, con Hugh Davis Graham), "Minorities at Risk: A Global View of Ethnopolitical Conflicts" (1993). Il suo lavoro più recente è "Crime-Terror Alliances and the State" (Routledge 2013, con Lyubov Mincheva).
Per altre informazioni:
 

Black Nations Rising

Dalla lontana Australia arriva una notizia di grande interesse per chi vuole essere aggiornato sulle lotte indigene odierne. 
Pochi giorni fa è uscito il primo numero di Black Nations Rising, una nuova rivista dedicata ai problemi politici,sociali e culturali degli Aborigeni australiani. Realizzata dall'associazione "Warriors of the Aboriginal Resistance"(WAR), la pubblicazione non riceve finanziamenti di alcun tipo, ma vive grazie ai contributi degli associati. Pekeri Ruska (Goenpul/Yuggera) e Callum Clayton-Dixon (Nganyaywana) sono i due condirettori.
"Black Nations Raising" ha un approccio anticolonialista militante, ma non settario né ottuso. Si richiama apertamente all'esperienza delle Black Panthers statunitensi, ma rifiuta la violenza.
La rivista, che uscirà con periodicità trimestrale, sarà distribuita per abbonamento e attraverso la rete delle organizzazioni aborigene.
Inviamo un saluto fraterno a Pekeri Ruska e a Callum Clayton-Dixon, augurando lunga vita alla loro rivista. 
Per altre informazioni: 
 
 

Pro Armenia.
Voci ebraiche sul genocidio armeno

Ormai sembrano lontani i tempi in cui la Shoah veniva considerata una tragedia unica e irripetibile. In realtà questa idea non è del tutto scomparsa, ma ormai gli studiosi che la sostengono sono pochissimi. Per quanto riguarda in particolare l'Italia, comunque, ciò che conferma in modo definitivo questo cambiamento è il libro Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno (La Giuntina, Firenze 2015, pp. 140, € 12).
Il fatto che il volume sia stato concepito e pubblicato dalla principale casa editrice ebraica bnon lascia spazio a dubbi.
Il libro esce in un momento particolarmente significativo, dato che il 2015 segna il centenario del genocidio armeno (in realtà, questo fu il genocidio di tutte le minoranze cristiane dell'impero ottomano, quindi anche Assiri e Greci del Ponto).
Curato da Fulvio Cortese e Francesco Berti, il libro propone le testimonianze di quattro ebrei che videro coi propri occhi la furia omicida dell'esercito ottomano. La prefazione è scritta da Antonia Arslan, la studiosa padovana di origine armena nota per libri come "La masseria delle allodole" e "La strada di Smirme".
Un libro molto prezioso sotto il profilo storico, culturale e umano, un'opera che verrà ricordata.
La Giuntina, fondata nel 1980 da Daniel Vogelmann, che la dirige tuttora, offre un catalogo di grande interesse che permette di approfondire la conoscenza  della cultura ebraica in tutte le sue espressioni.  
Per altre informazioni:
 

La veu d'un poble:
100 cançons par explicar Catalunya al món

La casa editrice Enderrock ha pubblicato un libro intitolato La veu d'un poble: 100 cançons par explicar Catalunya al món, che analizza 100 canzoni catalane ritenute particolarmente significative.
Leggendolo si scoprono fra l'altro certi legami poco noti con la canzone italiana: il brano di Joan Manuel Serrat "La tieta", per esempio, è stato cantato in italiano da Mina ("Bugiardo e incosciente") e in modenese da Francesco Guccini ("La ziatta").
Il Grup Enderrock, con sede a Barcellona, pubblica vari periodici musicali in catalano.
Per altre informazioni:
   

Strumenti e suoni nella musica sarda

Fortunatamente la musica sarda non è più un fenomeno noto a pochi cultori: oggi artisti come Luigi Lai, Elena Ledda e Andrea Parodi, tanto per fare qualche nome, godono di larga fama. Quello che rimane patrimonio di pochi, invece, è la ricchezza strumentale della musica isolana, dove troviamo chitarra, fisarmonica, launeddas, organetto, scacciapensieri (sa trunfa), etc.    
Un ampio panorama di questo mondo musicale ci viene offerto da Gian Nicola Spanu nel volume Strumenti e suoni nella musica sarda (Ilisso, Nuoro 2014, pp. 352, € 49).
L'introduzione è firmata da un altro esperto della materia, Febo Guizzi, professore ordinario di Etnomusicologia presso l'Università degli Studi di Torino.
Riccamente illustrato e curato nei minimi particolari, il volume rappresenta uno strumento indispensabile per chiunque voglia conoscere la musica sarda.
Correda l'opera un DVD realizzato dalla musicolga Chiara Solinas.
Gian Nicola Spanu (Oristano, 1961) insegna Storia della musica nei Conservatori di Cagliari, Novara e Sassari. Ha pubblicato diversi saggi  in periodici specializzati italiani e stranieri e in opere collettive. Ha curato fra l'altro "Sonos. Strumenti della musica popolare sarda" 
(Ilisso, 1998). 
Per altre informazioni:
 

Antas:
una nuova rivista dedicata alla musica sarda

Meglio tardi che mai. Come abbiamo fatto altre volte, segnaliamo una pubblicazione già uscita da qualche mese, perché crediamo che passare sotto silenzio novità come questa sarebbe comunque più grave. 
Stavolta si tratta di Antas, una nuova rivista dedicata alla musica sarda. Diretto dal giornalista Pierpaolo Fadda, il bimestrale tratta di questo tema nel modo più ampio: dal jazz al rock, dalla musica leggera al variegato panorama della tradizione isolana.
Il primo numero è uscito nel giugno dello scorso anno; a questo sono seguiti il numero 2 (agosto-settembre 2014), il 3 (ottobre-novembre) e il 4 (dicembre 2014-gennaio 2015).
In questi quattro numeri si trovano temi vari e stimolanti, spesso insoliti per chi conosce poco il contesto musicale sardo. Fra questi, la testimonianza di Alessandro Madesani Deledda, unico nipote vivente di Grazia Deledda; i rapporti dei Beatles con l'isola; articoli su cinema, pittura e teatro. 
Oltre a questo, "Antas" propone i contributi di studiosi come Chiara Solinas e Alessandro Vozzo e un ricco ventaglio di recensioni.
Mentre consigliamo caldamente a tutti la lettura della nuova rivista, salutiamo con sincero entusiasmo questa importante novità editoriale e  le auguriamo lunga vita. Speriamo infine che "Antas" venga distribuita anche al di fuori della Sardegna.
La rivista, pubblicata dall'editrice PTM di Mogoro (Oristano), è disponibile sia in versione cartacea che telematica.
Per altre informazioni:
 

100 Years… True Stories

Come abbiamo scritto varie volte, nel 2015 ricorre il centenario del genocidio armeno, o per meglio dire del genocidio di tutte le minoranze presenti nell'impero ottomano ormai prossimo alla fine.
Ovviamente questo ha stimolato un'attività editoriale imponente che cercheremo di seguire, anche se la quantità sarà tale che alcuni titoli ci sfuggiranno.
Il primo libro del quale ci occupiamo si intitola 100 Years… True Stories. Curato dal giornalista turco Aris Nalcı, il volume raccoglie 47 storie di persone sopravvissute al genocidio. 
Il libro - pubblicato in turco, armeno e inglese - è il frutto del progetto "The Turk Who Saved Me", promosso dal Foreign and Commonwealth Office britannico e realizzato da due organismi armeni, l'Armedia Agency e l'ONG European Integration.
Il libro viene diffuso gratuitamente.
Per altre informazioni:
 

Consuming Ocean Island:
Stories of People and Phosphate from Banaba

Il Pacifico è stato ed è ancor oggi teatro di violenze perpetrate nel nome del progresso industriale e della sicurezza militare. Spesso si tratta di episodi ignoti o dimenticati: la remota posizione geografica del Pacifico ha sempre favorito questo disinteresse colpevole. Ormai neanche tragedie epocali come quelle causate dagli esperimenti nucleari vengono ricordate; tanto meno le altre.
Un esempio è quello di Banaba, una piccola isola micronesiana appartenente all'arcipelago delle Kiribati. Grande 6 kmq, è abitata da circa 300 persone. Ex colonia britannica, è conosciuta per la scoperta di fosfato (1900) e per il suo sfruttamento incessante, che finì nel 1979, anno dell'indipendenza delle Kiribati. In seguito a questo sfruttamento divenne inabitabile, per cui la popolazione fu trasferita su Rabi, un'isola delle Figi. Soltanto pochi hanno fatto ritorno sull'isola d'origine.
Consuming Ocean Island: Stories of People and Phosphate from Banaba (Indiana University Press, Bloomington [IN 2015, pp. 272,$28.00/80.00),
scritto da Katerina Martina Teaiwa, racconta la storia di questa tragedia umana e ambientale dimenticata.
Il caso di Banaba ci ricorda che tanti popoli insulari vivono ancora in condizioni semicoloniali: l'indipendenza che hanno raggiunto è solo 
formale. 
Katerina Martina Teaiwa lavora al College of Asia and the Pacific della Australian National University (Canberra). 
Per altre informazioni:

Tribal Women:
Yesterday, Today and Tomorrow

I popoli indigeni dell'India (noti col nome collettivo di Adivasi) sono 95-100 milioni, cioè il 7-8% della popolazione (1.300.000.000).
Secondo un criterio linguistico questo eterogeneo insieme di popoli viene diviso in 4 gruppi: dravidico, mon-khmer, munda e tibeto-birmano.
Questi popoli sono circa 250, ma la Costituzione ne riconosce solo 212, che vengono ufficialmente definiti "tribù catalogate". Abitano in prevalenza negli stati centrali ed orientali della federazione. Discriminati dalla maggioranza hindu, che ha usurpato le loro terre, vivono da sempre ai margini della società. Particolarmente svantaggiata è la condizione delle donne: sebbene esistano alcune leggi che dovrebbero tutelarle, in molti casi queste sono ancora più discriminate e oppresse degli uomini.
Il libro Tribal Women: Yesterday, Today and Tomorrow (Rawat Books, Jaipur 2015, pp. 304, $60), curato da Shyam Nandan Chaudhary, propone un panorama aggiornato della materia.
Come rendere più efficaci i progetti governativi per la difesa delle donne indigene? Come formularne altri? Il libro si sforza di dare una risposta a queste e ad altre domande, permettendoci di conoscere da vicino un tema che in Italia è ancora sostanzialmente ignoto.
Shyam Nandan Chaudhary insegna Sociologia alla Barkatullah University di Bhopal (India). Ha pubblicato molti libri, fra i quali ricordiamo "Globalization, National Development, and Tribal Identity" (2012). Attualmente si occupa soprattutto dei problemi sociali degli Adivasi.
Per altre informazioni:
 

Kayip izler gizli anilar
(Trasas pedridas recuerdos eskondidos)

L'etichetta turca Kalan continua la sua ricerca attraverso le musiche delle minoranze linguistiche e religiose dell'impero ottomano.
In questa logica si inserisce anche Kayip izler gizli anilar/Trasas pedridas recuerdos eskondidos/Lost traces hidden memories, ilnuovo CD della pianista e compositrice Renan Keoen.
Il disco (Kalan, 2014) propone venti brani legati alla cultura sefardita (o giudeo-spagnola). Stiamo parlando degli ebrei che sistabilirono nell'impero bizantino alla fine del quindicesimo secolo dopo essere stati cacciati dalla Spagna.
La formazione è composta da Mehmet Akatay (percussioni), Kemal Akdoğan (tenore), Shimon Asayas (hazan = cantore di sinagoga), Sedef Erçetin (violoncello), Özer Özel (liuti), Sasha Rozhdestvensky (violino), Ertan Tekin (duduk), Derya Turkan (violino) ed Elif Weigand (viola). A loro si aggiunge ovviamente Renan Koen (voce, piano e harmonium).
Attraverso una ricerca certosina che spazia dalla Spagna all'Anatololia, dall Grecia all'Egitto, Renak Koen ha recuperato varie canzoni dimenticate e le ha riarrangiate per varie formazioni di musica da camera. 
Il titolo "Trasas pedridas recuerdos eskondidos" non è sbagliato, ma mette in evidenza le leggere differenze fra il castigliano e il ladino (spagnolo degli ebrei sefarditi), che ovviamente non deve essere confuso col ladino dell'arco alpino.
Per chi non la conoscesse, ricordiamo che l'etichetta di Hasan Saltik ha inciso molti dischi con musiche armene, circasse, kurde, lase,rom, etc. In questo modo ha fornito un panorama della diversità culturale che Kemal Atatürk, creatore della Turchia, aveva cercato dicancellare per dare vita a un paese monoculturale. Dischi come quello suddetto confermano che fortunatamente non ci è riuscito. 
Renan Koen (Ankara, 1971) è pianista, flautista, soprano, compositrice e musicoterapeuta. Ha pubblicato "Köprüler/Bridges" (Universal/Taxim,
2008).  
Per altre informazioni:
 

Naciones y estado:
La cuestión española

I fermenti secessionisti che si sono diffusi negli ultimi anni in Spagna, e in particolare in Catalogna, hanno stimolato un forte interesse editoriale. Fra i libri più recenti dedicati a questo tema merita di essere segnalato Naciones y estado: La cuestión española (Prensas de la Universitat de València, València 2014, pp. 354, € 20), curato da Ferran Archilés Cardona e Ismael Saz Campos.
Il volume analizza la conformazione assunta dallo stato spagnolo nel ventesimo secolo. Caratterizzato inizialmente da una marcata impronta cenrealistica, il paese iberico ha cercato poi di riconoscere le sue diversità culturali e linguistiche, con un'attenzione particolare per quella catalana. Il libro analizza questo sviluppo e si interroga sul futuro: quale sarà la Spagna del ventunesimo secolo?  
Ferran Archilés i Cardona insegna Storia contemporanea all'Università di València. Fra i suoi libri segnaliamo "La nación de los españoles. Discursos y prácticas del nacionalismo español en la época contemporánea" (Prensas de la Universitat de València, 2012).
Ismael Saz è uno studioso del franchismo e dell'estrema destra europea. Insegna Storia contemporanea all'Università di València. Fra le sue opere ricordiamo "Fascismo y franquismo" (Prensas de la Universitat de València, 2004) e "Las caras del franquismo" (Comares, 2013).
Per altre informazioni:
 

Maori Boy:
A memoir of Childhood

Lo scrittore maori Witi Ihimaera non è ignoto in Italia, dove sono stati pubblicati due libri che portano la sua firma. Uno è "La balena e la bambina" (Sperling & Kupfer, 2003), dal quale è stato tratto il film "La ragazza delle balene" ("Whalerider", 2002). L'altro è "Romanzi neozelandesi" (Kappa, 2008).Comunque questa è soltanto una parte minima della sua produzione letteraria.
Recentemente è uscito il suo nuovo libro, Maori Boy: A memoir of Childhood (Vintage, Wellington 2014, pp. 400, $39.99).
"Maori Boy" è un libro autobiografico. Lo scrittore ripercorre la propria infanzia e le esperienze che l'hanno formato. Quest'opera vivida e stimolante ci permette di capire cosa significhi crescere maori.
Witi Tame Ihimaera-Smiler (1944), meglio conosciuto come Witi Ihimaera, è un dei più importanti scrittori neozelandesi viventi. Primo maori a pubblicare un romanzo, ha insegnato Letteratura maori all'Università di Auckland dal 1990 al 2010. Fra i suoi molti romanzi, tutti legati alla cultura maori, ricordiamo "Nights in the Gardens of Spain" (1995), "Sky Dancer" (2004) e "The Parihaka Woman" (2011).
Per altre informazioni:
 

A Dangerous Idea:
The Alaska Native Brotherhood and the Struggle for Indigenous Rights

Le lotte organizzate degli Indiani nordamericani per la difesa dei propri diritti culturali, politici e territoriali non sono cominciate ad Alcatraz nel 1969, ma molto tempo prima.
Nel 1912, infatti, alcuni indigeni dell'Alaska - indiani e inuit fra i quali Eli Katanook, Peter Simpson e Ralph Young - fondarono l'Alaska Native Brotherhood (ANB), un'associazione per i diritti civili dei popoli autoctoni. Questi non erano ancora cittadini statunitensi, mentre migliaia di ragazzi indigeni languivanonei convitti (le famigerate boarding schools) dove si faceva di tutto per soffocare la loro cultura e trasformarli in bianchi cristiani.
Nel libro A Dangerous Idea: The Alaska Native Brotherhood and the Struggle for Indigenous Rights (University of Alaska Press, Fairbanks [AK] 2014, pp. 150. $24.95) Peter Metcalf ha ricostruito in modo accurato la storia di questa organizzazione.
Il 18 dicembre 1971, grazie all'impegno dell'ANB, venne approvato l'Alaska Native Claims Settlement Act (ANCSA), uno dei principali accordi conclusi fra il governo di Washington e i popoli nativi. 
Il libro è lo strumento ideale per approfondire la storia recente dei popoli indigeni dell'Alaska, il più grande degli Stati Uniti, annesso alla federazione nel 1959.   
Peter Metcalfe ha scritto vari libri sui popoli indigeni dell'Alaska, fra i quali "Gumboot Determination: The Story of the South East Alaska Regional Health Consortium (Southeast Alaska Regional Health Consortium, 2005).
Per altre informazioni: