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We Are Still Here
A Photographic History of the American Indian Movement

L'American Indian Movement (AIM), fondato nel 1968 a Minneapolis, ha dato un impulso decisivo alle lotte degli Indian nordamericani. Basti pensare all'occupazione di Alcatraz (1969-1971)
o a quella di Wounded Knee (1973). Oggi, dopo numerose opere dedicate alle lotte politiche del movimento, viene pubblicato un interessante volume fotografico che ne ripercorre la storia:
We Are Still Here: A Photographic History of the American Indian Movement (Minnesota Historical Society Press/Borealis Books, St. Paul [MN] 2013, pp. 224, $39.95).
Il volume contiene 180 fotografie di Dick Bancroft, accompagnate da testi di Laura Waterman Wittstock. L'introduzione è firmata da Rigoberta Menchu Tum, la celebre attivista maya che nel 1992 è stata il primo esponente indigeno a ricevere il Premio Nobel per la Pace. 
Le foto di Bancroft forniscono un panorama dettagliato ed esauriente degli anni compresi fra la fine del periodo compreso fra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Ottanta. La giornalista Laura Waterman Wittstock ha raccolto le testimonianze dirette di Dennis Banks, Clyde Bellecourt, Winona LaDuke, Bill Means, Russell Means e altri.
Ancor oggi, purtroppo, capita di leggere articoli dove i popoli indigeni vengono definiti "gli ultimi primitivi", quasi come se fossero animali preistorici curiosamente sopravvissuti allo scorrere dei secoli. Ma la realtà è molto diversa: molti di questi popoli, fra i quali gli Indiani nordamericani, sono riusciti a sviluppare strutture politiche e diplomatiche grazie alle quali hanno ottenuto successi importanti, come la Dichiarazione universale dei diritti dei popoli indigeni (2005). Per questo, come titola il libro, possono affermare con orgoglio "Siamo ancora qui".
Le fotografie del libro, insieme ad altre di Roger Woo, sono esposte nella mostra "I'm Not Your Indian Anymore: A Photographic History of the American Indian Movement", allestita presso la All My Relations Art Gallery (1414 East Franklin Avenue, Minneapolis [Minnesota/Stati Uniti]). La mostra rimarrà aperta fino al 30 giugno.
Per altre informazioni:
 

Les batailles du patrimoine en Corse Du bicentenaire de Napoléon au rejet du PADDUC (1969-2009)

Le grandi mobilitazioni popolari che hanno segnato la Corsica negli ultimi 40 anni non hanno avuto soltanto motivazioni politiche (l'autonomia) o didattiche (la riapertura dell'Università di Corte), ma anche la difesa dell'ambiente e del patrimonio culturale. Il libro Les batailles du patrimoine en Corse. Du bicentenaire de Napoléon au rejet du PADDUC (1969-2009), scritto da Pierre Bertoncini, si concentra appunto su questi temi, la cui conoscenza è necessaria per capire appieno la storia recente dell'isola.
Il volume (L'Harmattan, Paris 2013, pp. 208, € 20,43) copre 40 anni, dal bicentenario della nascita di Napoleone al rifiuto del piano di sviluppo economico e di tutela ambientale (Plan d'aménagement et de développement durable de la Corse, PADDUC), proposto dai neogollisti dell'UMP nel 2009.
La prefazione è firmata da Jacques Fusina, uno dei più autotevoli studiosi isolani.
Pierre Bertoncini, etnologo corso, è il presidente dell'APARMA (Association pour le Patrimoine, Recherche de Méditerranée et d'Ailleurs).
Fra i suoi libri ricordiamo "Le spectre de la mémoire de Pas­­cal Paoli. Ter­­ri­­toire, patri­­moine et culture en Corse" (L’Har­­mat­­tan, 2011).
Per altre informazioni:
 

Aboriginal Rights Are Not Human Rights: In Defence of Indigenous Struggles

La diffusione di informazioni e opinioni, alla quale Internet contribuisce in modo decisivo, favorisce un uso improprio e confuso di alcuni termini, al quale ci sembra doveroso opporre un deciso rifiuto. Relativamente ai temi che trattiamo, un esempio di questo fenomeno è la confusione fra i diritti umani e i diritti delle minoranze e/o popoli indigeni.
Vediamo meglio di cosa si tratta. I diritti umani, come sottolinea l'originale francese "droits de l'homme", sono diritti personali, cioè diritti che spettano a ciascuna persona in quanto essere umano: libertà di pensiero e di culto, libertà di movimento e di associazione, elettorato attivo e passivo, etc. Nei trenta articoli che compongono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata dall'Assemblea Generale dell'ONU il 10 dicembre 1948, la dimensione strettamente individuale dei diritti umani viene sottolineata più volte in modo inequivoco. A conferma di questo, vediamo quanto sia frequente il riferimento istituzionale ai diritti umani e quanto sia raro quello ai diritti collettivi. 
Molti di coloro che invocano la difesa dei diritti umani sono sicuramente in buona fede e svolgono un compito insostituibile. Lo stesso non può dirsi di altri, comprese molte istituzioni, per i quali il termine "diritti umani" rimane invece una formula vaga che non impegna più di tanto. Non solo, ma anche una formula molto comoda: se parlassero anche di diritti collettivi, dovrebbero ammettere che paesi come gli Stati Uniti e la Francia, da loro considerati "campioni dei diritti umani", sono al tempo stesso fra quelli che calpestano i diritti collettivi.   
Questi ultimi, al contrario, riguardano una collettività linguistica e/o culturale: dagli Scozzesi ai Maori, dagli Indiani del Nordamerica agli indigeni della Siberia. Dal momento che una collettività non è una semplice somma di individui, a questo gruppo appartengono diritti diversi da quelli umani: linguistici, culturali, territoriali, ambientali.
Naturalmente non esistono compartimenti stagni che separano i due ordini di diritti, ma troviamo frequenti interazioni fra l'uno e l'altro. In ogni caso, nessuno dei due tipi è superiore o inferiore all'altro, ma è necessario tenere presente che la sola difesa dei diritti umani non potrà mai soddisfare chi rivendica diritti collettivi. Questi ultimi sono emersi proprio in seguito a tale insufficienza.
Perfino l'ONU, per sua natura sensibile alla sola difesa dei diritti umani, ha capito che la Dichiarazione del 1948 doveva essere integrata da una specifica Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni (2005). Per quanto riguarda le minoranze europee, gli organismi comunitari prevedono analoghi documenti. Talvolta mal concepiti e non applicati, ma ovviamente questo è un altro discorso, che qui non possiamo approfondire.
Detto questo, restiamo in tema segnalando un libro di particolare interesse, Aboriginal Rights Are Not Human Rights: In Defence of Indigenous Struggles (Arbeiter Ring Publishing, Winnipeg [MB] 2013, pp. 197, $19.95 canadesi), scritto da Peter Kulchyski. 
L'autore, che si concentra sui popoli amerindiani, dimostra che i diritti dei popoli indigeni non appartengono alla categoria più ampia dei diritti umani, dato che riguardano situazioni specifiche. Al tempo stesso, Kulchyski mette in evidenza che le lotte indigene non sono tutte uguali e fissa un netto confine fra le diverse tecniche produttive dei popoli indigeni e la logica livellatrice del capitalismo. 
"Aboriginal Rights Are Not Human Rights" colma un vuoto, perchè fornisce un'analisi concettuale e storica dei trattati indiani canadesi, offrendo suggerimenti concreti per una radicale trasformazione dell'attuale approccio istituzionale nei confronti di questi temi.
Secondo l'autore, giustamente, i diritti dei popoli indigeni devono diventare una priorità ed essere considerati autonomamente, anzichè restare una semplice appendice dei diritti umani. Non si tratta di un'utopia: in stati come la Bolivia, la Colombia e l'Ecuador questo è già realtà.
Peter Kulchyski insegna all'Università di Winnipeg (Manitoba/Canada), dove tiene vari corsi su questioni indigene. Membro di varie associazioni accademiche, conferenziere, ha pubblicato molti libri su questi temi, fra i quali ricordiamo "Kiumajuk [Talking Back]: Game Management and Inuit Rights in Nunavut 1900 to 1970", scritto con Frank Tester (UBC Press, 2007). Inoltre ha pubblicato saggi su numerose riviste accademiche, fra le quali "American Indian Quarterly", "Inuit Studies" e "Native Studies Review".
Per altre informazioni:
 

Studies on National Movements

È appena uscito il primo numero di Studies on National Movements, una nuova rivista telematica dedicata ai movimenti nazionalisti europei, con ampio spazio per i problemi delle minoranze. La pubblicazione, scritta in inglese, è realizzata dal NISE, una rete internazionale di archivi specializzati coordinata dall'Archief en Documentatiecentrum voor het Vlaams-nationalisme (ADVN). Entrambi hanno sede ad Anversa (Belgio).
Si tratta di una pubblicazione valida e stimolante, che consigliamo caldamente a coloro che seguono questi temi.
Ecco il sommario: 
 
Introduction
Not yet another journal on nationalism? (Luc Boeva, Andreas Stynen)

Articles
Writing national history for small nations (Miroslav Hroch)
Regionalism and border regions in modern Europe. The case of Upper Silesia in context (Philipp Ther)
The Flemish movement and Flemish nationalism. Instruments, historiography and debates (Bruno De Wever)
The historiography of an 'invisible nation'. Debating Brittany (Tudi Kernalegenn, Yann Fournis)
History, historiography and the ambiguities of Catalan nationalism (Enric Ucelay-Da Cal)
Historiography of the Lithuanian national movement. Changing paradigms (Darius Staliunas)

Sources
Bibliography of recent research on Upper Silesia (Philipp Ther)
Bayernpartei archives at the ADVN. Inventory (Sophie Bossaert, Tom Cobbaert)
DILINAME - Digital Library of National Movements in Europe. Democracy and sovereignty in all languages (Xabier Macías, Manoel Santos)

Reviews
Plaid Cymru. An ideological analysis/Alan Sandry (Daniel Williams)
La culture des nations/Anne-Marie Thiesse (Geneviève Warland)
 


Per altre informazioni:
http://snm.nise.eu

Wolfgang Gieler: "Vergessene Konflikte"

Un tempo certi conflitti, condannati dal disinteresse della cronaca, venivano quasi completamente dimenticati. In tempi più recenti, invece, numerosi libri sono riusciti a rompere questo silenzio. Fra gli ultimi merita di essere segnalato Vergessene Konflikte di Wolfgang Gieler (Scientia Bonnensiss Verlag, Bonn 2013, pp. 114, € 14,80). L'autore è Wolfgang Giele.
Il libro analizza nove paesi di tre continenti: Birmania, Ecuador, Etiopia, Haiti, Myanmar, Nigeria, Pakistan, Uzbekistan e Venezuela. Ciascuno viene inquadrato nel rispettivo contesto storico, culturale, politico ed economico, fornendo così una documentazione precisa che va ben oltre il fugace interesse della stampa periodica.
Al tempo stesso viene dato il giusto rilievo agli effetti della decolonizzazione. Nel complesso, si tratta di un'opera utile e stimolante.   
Wolfgang Giele insegna Studi internazionali e interculturali e all'Università di Istanbul.
Per altre informazioni:
 

Ray Gamache: "Gareth Jones: Eyewitness to the Holodomor"

Molti genocidi sarebbero rimasti ignoti, o comunque avrebbero avuto scarsa visibilità, se non fossero stati denunciati da testimoni oculari. Pensiamo ad Armin Wegener, il medico militare tedesco che documentò il genocidio armeno con le sue fotografie.
Meno conosciuti, se non ignoti, sono invece coloro che hanno denunciato tragedie dimenticate. Uno di questi è Gareth Jones, il giornalista gallese che fu fra i primi a rivelare gli orrori dello Holodomor, il genocidio per fame programmato da Stalin che uccise oltre 7 milioni di ucraini fra il 1933
A ricostruire la vita di Jones ha provveduto Ray Gamache, autore del libro Gareth Jones: Eyewitness to the Holodomor (Welsh Academic Press, Cardiff 2013, pp. 256, £48.00).
Consulente di David Lloyd George, Primo Ministro britannico (1916-1922, e Ivy Lee, pioniere delle pubbliche relazioni, Jones denunciò il genocidio ucraino con molti articoli che vennero pubblicati in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Per questo fu attaccato dal governo di Mosca e da vari colleghi filosovietici, come Walter Duranty del "New York Times".
Questo è il primo studio dedicato alla figura del giornalista. Un libro importante, grazie al quale una pagina di storia europea recente ma quasi dimenticata viene messa in evidenza.
Ray Gamache insegna Giornalismo al King's College di Wilkes-Barre (Pennsylvania/Stati Uniti).
Per altre informazioni:
 

Walter Richmond: "The Circassian Genocide"

La storia é costellata di genocidi, ma sappiamo bene che non tutti vengono considerati allo stesso modo. Molti sono addirittura ignoti, e una parte di questi ha scarsissime possibilità di uscire dall'oblio in cui si trova. A questo gruppo appartiene il genocidio dei Circassi, un popolo caucasico che fu perseguitato dall'esercito zarista nella seconda metà dell'Ottocento. Questa persecuzione, che ebbe luogo fra gli anni Sessanta e Settanta, venne realizzata in vari modi: espulsione, deportazione, stragi di massa. Un numero imprecisato morì di stenti e di malattie. I superstiti poterono scegliere se emigrare nel vicino impero ottomano o in remore regioni russe.
Nel caso di tragedie ignote come questa, ovviamente, l'informazione svolge un ruolo vitale. Per questo ci sembra imperativo segnalare il libro The Circassian Genocide (Rutgers University Press, New Brunswick, [NJ], pp. 224, $72.00 - $29.95), scritto da Walter Richmond.
Il volume colma un vuoto, permettendo al lettore di conoscere una questione che ha cominciato a guadagnare una pur minima visibilità proprio negli ultimi anni.
Nel 2006 diverse organizzazioni circasse hanno chiesto all'Unione Europea di riconoscere il genocidio. Finora questa richiesta non è stata accolta, ma due anni fa (2011) la Georgia, primo stato al mondo, l'ha riconosciuto. Al tempo stesso la repubblica caucasica ha confermato questa presa di posizione facendo costruire un monumento in memoria del genocidio.
Ma sarà nel 2014 che le organizzazioni circasse avranno un'occasione per portare la propria tragedia dimenticata all'attenzione mondiale: le Olimpiadi invernali si svolgeranno a Sochi, la cittadina russa sul Mar Nero dove il genocidio toccò le vette più disumane e aberranti.
I Circassi sono un popolo autoctono del Caucaso settentrionale. La sua consistenza numerica è stimata fra i 5 e i 9 milioni. Vivono in vari paesi mediorientali (Giordania, Irak, Israele, Turchia) e in Russia, ma la percentuale maggiore è dispersa nella diaspora. 
Walter Richmond è Assistente di tedesco, russo e studi classici all'Occidental di Los Angeles (California/Stati Uniti). Esperto di questioni culturali e storiche dell'area caucasica e centrasiatica, ha pubblicato "The Northwest Caucasus: Past, Present, Future" (Routledge, 2008).
Per altre informazioni:
 
http://nosochi2014.com

Kimie Hara: "Northern Territories, Asia-Pacific Regional Conflicts and the Aland Experience Untying the Kurillian Knot"

Le isole Åland, appartenenti alla Finlandia ma abitate da svedesi, godono di un'autonomia che costituisce un modello per varie regioni dove i problemi delle minoranze stentano a trovare una soluzione soddisfacente. Northern Territories, Asia-Pacific Regional Conflicts and the Aland Experience Untying the Kurillian Knot (Routledge, London 2013, pp. 152, £95.00 / £24.99) 
esamina questa forma di autonomia cercando di capire se possa esser applicata a un contesto molto diverso, quelle delle isole Curili meridionali, oggetto di un'annosa disputa territoriale fra il Giappone e la Russia. Queste isole sono abitate da indigeni ainu. 
Curato da Kimie Hara e Geoffrey Jukes, il volume raccoglie contributi di vari esperti, fra i quali esponenti governativi, militari e studiosi.
Kimie Hara è Professore associato alla University of Waterloo.
Geoffrey Jukes (1928-2010) era Associate Fellow del Centre for Arab and Islamic Studies della Australian National University.
 
Per altre informazioni:
 

Ivo Strecker: "Berimba's Resistance: The Life and Times of a Great Hamar Spokesman as told by his son Aike Berinas"

Numerosi popoli indigeni hanno espresso donne e uomini capaci di resistire agli invasori, ma soltanto pochi di loro hanno ottenuto la visibilità che meritavano. Per fortuna, però, ci sono studiosi che lavorano con pazienza per strappare all'oblio i nomi e le storie di queste persone coraggiose. 

Il loro lavoro è particolarmente prezioso, soprattutto nel caso dell'Africa, perchè ci permette di contenere certi effetti negativi della decolonizzazione. Questa, pur essendo un fenomeno per molti versi positivo, ha consegnato al resto del mondo una massa indistinta di popoli senza nome e senza storia: l'uomo della strada conosce algerini e senegalesi, angolani e kenyoti, ma ignora gli Oromo e i Wodaabe, gli Ogoni e gli Himba. I soli popoli africani che chiama col loro vero nome sono quelli che ha conosciuto in seguito alle guerre -i Saharawi, gli Igbo del Biafra- o attraverso i documentari -i Tuareg, i Maasai. Quindi ogni libro che permetta di ampliare questo ristretto panorama è benvenuto.

Un esempio recente è Berimba's Resistance: The Life and Times of a Great Hamar Spokesman as told by his son Aike Berinas (Lit Verlag, Münster 2013, pp. 264, € 19,90) di Ivo Strecker.

Nel volume l'antropologo tedesco ricostruisce la vita di Berimba, al quale gli Hamar (Etiopia meridionale) affidarono il ruolo di portavoce durante le invasioni che il paese africano subì a partire dal 1875 (prima ottomana ed egiziana, poi italiana).

Il volume contiene la testimonianza di Balambaras Aike Berinas, detto Baldambe, figlio di Berimba. Baldambe fornisce un racconto dettagliato dell'intensa attività diplomatica svolata al padre, che negoziò con gli invasori e cercò in ogni modo di resistere loro, fino a quando venne ucciso.

Divulgare le storie ignote o dimenticate della resistenza indigena, africana e non, significa restituire ai popoli oppressi una parte della dignità che il colonialismo europeo ha cercato in ogni modo di soffocare. 

Oggi si parla tanto di diritto alla memoria: se questo non deve essere soltanto un privilegio per pochi, il più piccolo popolo dell'Africa o dell'Amazzonia ha diritto alla propria memoria come i popoli numerosi e dotati di canali politici e diplomatici coi quali possono far conoscere al resto del mondo le proprie tragedie. 

Secondo il censimento del 2007 gli Hamar sono 46.000. La loro economia si basa prevalentemente sulla pastorizia. 

Ivo Strecker è Professor Emeritus di Antropologia alla Johannes Gutenberg-Universität di Mainz (Germania).

Per altre informazioni:

 

www.lit-verlag.de

Bruce E. Johansen: "Encyclopedia of the American Indian Movement"

Chi segue le questioni indigene del Nordamerica sa bene che l'American Indian Movement (AIM) è stato uno dei protagonisti delle lotte amerindiane che hanno segnato il secolo scorso. Anche se non mancano volumi dedicati a questo movimento, sono pochi quello che lo ritraggono in maniera completa e dettagliata, permettendo anche ai neofiti di inquadrarlo correttamente. A fare questo provvede Bruce E. Johansen, autore dell'Encyclopedia of the American Indian Movement (Greenwood Press, Westport [CT], pp. 362, $89.00).

L'opera non riassume soltanto i momenti più noti della vita dell'AIM, ma indaga anche temi meno conosciuti, come le sue iniziative contro la guerra del Vietnam e i suoi contatti con altre

minoranze (afroamericani, chicanos, omosessuali, etc.), la difesa delle lingue, le lotte contro il colinalismo nucleare.

Un'opera di agevole consultazione,, ma al tempo stesso precisa e documentata. 

Bruce E. Johansen lavora come ricercatore alla University of Nebraska at Omaha. Specialista di questioni amerindiane, ha pubblicato numerosi libri sul tema. Insieme a Barry M. Pritzker ha curato la "Encyclopedia of American Indian History" (4 voll., Greenwood Press, 2007).

Per altre informazioni:

 

www.abc-clio.com

AAVV: "Native American Classics"

La casa editrice Eureka ha pubblicato Native American Classics (pp. 144, $15), un volume a fumetti che contiene storie tratte da importanti scrittori indiani, fra i quali George Copway, Charles Eastman, Elias Johnson e Zitkala-Sa.  
I disegni del libro, tutti a colori, sono firmati da Weshoyot Alvitre, Tara Audibert, Toby Cypress, Robby McMurtry e altri artisti. Robby McMurtry è deceduto poco dopo aver terminato di lavorare a questo volume. Il curatore è John E. Smelcer, mentre Randy Keedah è l'autore della copertina.  
Questo è il ventiquattresimo volume di una collana originale e stimolante, Graphic Classics, che ha già proposto albi con storie di London, Lovecraft, Poe, Stevenson, Wilde, etc.
Per altre informazioni:
 

AAVV: "Samizdat, Tamizdat, adn Beyond: Transnational Media during and after Socialism"

Dopo la caduta del comunismo è mancata, almeno in Italia, una seria riflessione storica sul dissenso che era stato attivo nei paesi dell'Europa centrale e orientale durante la dittatura e sulle sue derivazioni più recenti. L'editoria anglofona, al contrario, ci offre numerosi studi che colmano questo vuoto. Uno dei più recenti è il volume curato da Friederike Kind-Kovács e Jessie Labov, Samizdat, Tamizdat, and Beyond: Transnational Media during and after Socialism (Berghahn, Oxford 2013, pp. 378, $120.00).
Al libro hanno contribuito vari specialisti della materia, fra i quali Agnes Arndt, Ann Komaromi, Martin Hala e Valentina Parisi.
Il volume offre un panorama dei media utilizzati dai dissidenti nella loro lotta contro il conformismo: dalla stampa alla radio, dai video a Internet.
In questo modo gli autori ci ricordano che il dissenso non appartiene al passato, ma che la sua storia lo proietta nel futuro. In altre parole, che è una realtà viva e pulsante. Non soltanto in certe parti dei paesi suddetti, ma anche in Algeria, Bielorussia, Birmania, Corea del nord, etc.


www.berghahnbooks.com

Christian Mondoloni: "Corse. Renaissance d'une nation"

La storia moderna della Corsica, articolata e complessa, inizia con la ribellione al dominio genovese, evolve nella breve indipendenza (1755-1769) e quindi nell'annessione alla Francia.
Nella seconda metà del ventesimo secolo è caratterizzata dall'esplosione del separatismo armato e da una serie di cambiamenti amministrativi che trasformano l'isola in un vero e proprio laboratorio politico: se un giorno esisterà una Francia diversa da quella centralista nota a tutti, sarà inevitabile ricordare che questo processo era cominciato in Corsica.     
Purtroppo tale storia resta sostanzialmente ignota in Italia, nonostante i legami storici e linguistici che la uniscono all'isola. Per conoscere queste vicende resta imprescindibile far riferimento alla pubblicistica francofona. Fra le opere recenti merita particolare attenzione Corse. Renaissance d'une nation (Albiana, Ajaccio 2013, pp. 440, € 19), scritto da Christian Mondoloni. La prefazione è firmata da Edmond Simeoni, figura centrale dell'autonomismo isolano.
L'opera è un ampio affresco storico, culturale e sociale che permette al lettore di conoscere ogni aspetto della questione corsa, comprese molte pagine ignorate perfino dai più profondi conoscitori della materia.
Completa il volume un consistente apparato documentario: 23 fra testi, discorsi, manifesti e momenti importanti che coprono oltre due secoli (1768-1981) e un CD con il celebre discorso 
che Edmond Simeoni tenne il 7 agosto 1975.
In sostanza, si tratta di un'opera indispensabile per comprendere la Corsica di ieri e di oggi. 
"Corse. Renaissance d'une nation" conferma la validità delle edizioni Albiana, fondate e dirette da Guy Firroloni, che in questi giorni sono presenti al Salone del libro di Parigi.
Christian Mondoloni, nato in Corsica, è un militante autonomista della prima ora, quindi ha vissuto di persona i fatti più recenti trattati in questo libro, che è la sua prima opera.
Per altre informazioni:    
 

AAVV: "Climate Change And Indigenous Peoples: The Search for Legal Remedies"

Negli anni passati abbiamo sottolineato più volte che i popoli indigeni sono particolarmente interessati dai mutamenti climatici. Davanti a un tema così importante, per il quale si stenta a trovare una vera soluzione, era ormai giunta l'ora di fare il punto della situazione e delle sue prospettive. A questo hanno provveduto Randall S. Abate ed Elizabeth Ann Kronk, curatori del libro Climate Change And Indigenous Peoples: The Search for Legal Remedies (Edward Elgar Publications, Cheltenham 2013, pp. 616, £140.00).
L'opera fornisce un panorama esaustivo che spazia dal Brasile alla Scandinavia, dal Pacifico al Nepal. 
Al libro hanno contribuito esperti come Lillian Aponte Miranda, Naomi Johnstone, Jingjing Liu e Judith V. Royster. Grazie alle diverse competenze il tema viene inquadrato in tutti i suoi aspetti: ambientale, economico, politico, sociale, etc.
Opera utile e attuale, "Climate Change and Indigenous Peoples" mette in evidenza quello che i popoli indigeni stanno facendo per contrastare gli effetti negativi dei mutamenti climatici e la contemporanea inerzia dei rispettivi paesi.


Heide Goettner-Abendroth: "Le società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo"

Le società matriarcali, sostanzialmente scomparse nei paesi "sviluppati", resistono invece in molte società indigene. Non solo, ma ne rappresentano la struttura portante. Su questo tema si concentra il libro Le società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo (Venexia, Roma 2013, pp. 710, € 28), scritto dalla studiosa tedesca Heide Goettner-Abendroth.
Dal Nordamerica all'Oceania, dalle sciamane della Corea ai regni matriarcali africani, il volume mette in luce una ricchezza di valori, usanze e religioni dove la figura femminile svolge un ruolo fondamentale.
Il libro, frutto di una lunga ricerca sul campo, documenta in modo esaustivo il funzionamento, le finalità e l’estetica delle società basate sulla capacità femminile di sostenere la vita e sulla responsabilità verso il creato. L'autrice dimostra che le società matriarcali non sono un bizzarro resto del passato, ma una preziosa risorsa per il futuro.  
Si tratta di uno studio importante che colma un grave vuoto, dato che la maggior parte dei libri italiani sui popoli indigeni trascura questa tematica.   
Heide Goettner-Abendroth (1941) ha conseguito un dottorato di ricerca in filosofia presso l’Università di Monaco. Dopo aver lavorato vari anni in ambito accademico, se ne è staccata per dedicarsi in modo indipendente allo studio delle società matriarcali. Nel 1986 ha fondato l’Accademia Hagia per gli Studi Matriarcali Moderni, che oggi rappresenta un punto di riferimento internazionale sul tema.
Per altre informazioni:
 


Jason A. Springs: "Religious Nationalism: A Reference Handbook"

Ormai il fenomeno religioso è sempre più strettamente connesso alla politica, condizionandola in modo consistente. Un panorama ampio e aggiornato del tema ci viene offerto dal nuovo libro Religious Nationalism: A Reference Handbook (ABC-CLIO, Santa Barbara [CA] 2013, pp. 328, $58.00).
Curato da Atalia Omer e Jason A. Springs, il volume analizza dettagliatamente i legami fra la religione, il nazionalismo e i conflitti che nascono da questo intreccio.  
La religione genera violenza? Nazionalismo e religione sono fenomeni analoghi? Il nazionalismo religioso è uno strumento politico per manipolare le masse? Il volume cerca di rispondere a
queste e ad altre domande con un approccio pluridisciplinare che spazia dalla sociologia alla politologia, dagli studi religiosi a quelli sul nazionalismo.  
Si tratta quindi di un'opera utile e stimolante, indispensabile per capire i recenti sviluppi della politica internazionale e per formulare qualche ipotesi sul prossimo futuro.
Atalia Omer insegna Religione, Conflitto e Studi sulla pace al Kroc Institute for International Peace Studies (University of Notre Dame). Ha pubblicato vari libri, fra i quali "When Peace is Not Enough: How the Israeli Peace Camp Thinks about Religion, Nationalism, and Justice" e articoli su vari giornali accademici.
Jason A. Springs insegna le stesse materie nel mededimo ateneo e ha pubblicato su vari giornali accademici.
Per altre informazioni:
 
www.abc-clio.com

Riccardo Michelucci: "L'eredità di Antigone. Storie di donne martiri per la libertà"

I libri sulle persone che hanno dedicato la propria vita alla lotta per la libertà ritraggono in prevalenza figure maschili: da Nelson Mandela a Che Guevara, da Bobby Sands al Dalai Lama. Eppure ci sono anche tante donne - più o meno celebri- che meritano attenzione. A colmare in parte questa grave lacuna provvede il libro L'eredità di Antigone. Storie di donne martiri per la libertà (Odoya, Bologna 2013, pp. 288, € 18). L'autore è Riccardo Michelucci, giornalista e storico fiorentino.  
L'opera del giovane studioso coglie nel segno, proponendoci storie ignote o poco conosciute di donne che in modi, tempi e luoghi diversi hanno sacrificato la propria vita per difendere i diritti collettivi.
In questa lotta che trascende il tempo e lo spazio la partigiana Norma Parenti si ritrova accanto alla sudafricana Ruth First; Anna Mae Aquash, indiana nordamericana, condivide idealmente il destino di Sophie Scholl, militante antinazista della "Rosa Bianca"; Marla Ruzicka, operatrice umanitaria morta in Iraq, somiglia a Emily Davidson, suffragetta inglese. Tutto centrato sul Novecento, il volume ci permette di conoscere molte pagine dimenticate del cosidetto "secolo breve".
Ben documentato, appassionato e mai retorico, il libro è al tempo stesso un valido strumento di controinformazione e di passione civile. In tempi segnati dalla logica gretta del denaro e dell'individualismo, Riccardo Michelucci ci ricorda che esistono ancora persone capaci di sacrificare la propria vita per donare alle generazioni future un avvenire migliore. 
Arricchiscono ulteriormente l'opera l'introduzione di Emma Bonino e numerose fotografie.
Riccardo Michelucci, nato a Firenze nel 1970, collabora a numerose testate italiane e cura il blog "Memoria storica". Prestigioso esperto della questione nordirlandese, ha pubblicato il libro "Storia del conflitto anglo-irlandese. Ottocento anni di persecuzione inglese" (Odoya, Bologna 2009). Inoltre segue con particolare attenzione le vicende balcaniche, alle quali ha dedicato "Mentre il Ponte ricominciava a vivere" (Lulu.com, 2007).
Per altre informazioni:
 
www.riccardomichelucci.it

Georg Klotz: “Una vita per l’unità del Tirolo”

L'editore Effekt! di Egna/Neumarkt (Bolzano) ha pubblicato un libro di eccezionale interesse, che colma un vuoto nella pubblicistica italiana: Georg Klotz: Una vita per l'unità del Tirolo (pp. 360, € 19). Scritto da Eva Klotz, la prima dei sei figli di Georg, il volume è l'edizione italiana di "Georg Klotz. Freiheitskämpfer für die Einheit Tirols" (Molden, Graz 2002). La traduzione è di Nerio De Carlo. Il volume ripercorre in modo dettagliato la vita di Klotz, figura centrale dell'attivismo indipendentista sudtirolese.

Il fatto che questa stagione politica sia stata consegnata alla storia con l'etichetta di "terrorismo" non dovrebbe comunque farci dimenticare una cosa molto importante. Se noi pensiamo al terrorismo espresso da alcune minoranze europee nell'ultimo mezzo secolo, i primi casi che vengono in mente sono quello basco e quello nordirlandese. Entrambi hanno lasciato dietro di sè una lunga scia di sangue. Klotz e gli altri separatisti sudtirolesi degli anni Sessanta, al contrario, facevano saltare i tralicci dell'alta tensione: una scelta che naturalmnte può essere contestata, ma che non può essere equiparata alla logica omicida degli altri. Fu stato soltanto in una seconda fase, in seguito all'infiltrazione di alcuni neonazisti austriaci e tedeschi, che la genuinità delle proteste originarie venne compromessa e accantonata. Ci furono dei morti, ma Georg Klotz non uccise nessuno.

Inoltre, cosa che molti omettono o ignorano, bisogna ricordare che l'Italia si comportò in modo vergognoso, rifiutando a lungo di attuare il patto De Gasperi-Gruber che era stato firmato nel 1946. Fu necessario l'intervento dell'ONU perché il governo di Roma cambiasse atteggiamento.

Comunque la si pensi, la figura di Georg Klot merita il massimo rispetto: mosso da ideali sinceri, mai compromesso con il potere politico, è morto esule in Austria nel 1976.

La lettura di questo libro stimola quella riflessione sul tema che in Italia non è stata mai fatta, anche perchè il contesto sudtirolese non poteva esercitare il richiamo antifascista che invece si sarebbe manifestato pochi anni dopo per popoli soggetti alla dittatura (i Baschi con la Spagna franchista) o al colonialismo classico (i nordirlandesi).

Scritto con inevitabile coinvolgimento emotivo, ma sempre fedele ai fatti, il libro ci aiuta a comprendere un momento importante della storia recente, distorto o cancellato da quasi tutti i media italiani.

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Jean-Pierre Santini: "Commando FNLC"

Negli anni Settanta del secolo scorso Jean-Pierre Santini era stato uno dei fondatori del Fronte di Liberazione Naziunale di a Corsica (FLNC), il movimento separatista armato che chiedeva  l'indipendenza dell'isola dalla Francia. Successivamente ha archiviato questa esperienza, ha cominciato a scrivere romanzi gialli e ha fondato una casa editrice, A Fior di Carta. 
In questo impegno letterario l'esperienza precedente gioca comunque un ruolo centrale, come conferma il suo ultimo romanzo, intitolato appunto Commando FLNC (A Fior di Carta, Barrettali 2013, € 12).
La storia ruota attorno a tre membri del FLNC che vivono il traumatico passaggio dagli ideali patriottici degli inizi alla deriva mafiosa e affarista. Un romanzo insolito che ci permette di conoscere un mondo umano vicinissimo in termini geografici ma sostanzialmente ignoto in Italia. 
Jean-Pierre Santini, insegnante in pensione, ha scritto vari saggi politici sul nazionalismo corso e alcuni gialli ambientati nell'isola. Fra questi ricordiamo "L'ultimu" (2012).
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Ahmad Amara, Ismael Abu-Saad e Oren Yiftachel: "Indigenous (In)Justice: Human Rights Law and Bedouin Arabs in the Naqab/Negev"

Ormai sono almeno 40 anni che la questione palestinese ha guadagnato l'attenzione mondiale. Al tempo stesso, però, il più totale disinteresse continua ad avvolgere il dramma di un'altra minoranza che vive nello stato israeliano: i Beduini stanziati nel deserto del Naqag (Negev), vicino al confine con l'Egitto. Questi arabi indigeni vengono torchiati e discriminati dal governo di Tel Aviv senza che nessuna voce si levi in loro difesa. Proprio per questo consigliamo il libro Indigenous (In)Justice: Human Rights Law and Bedouin Arabs in the Naqab/Negev, curato da Ahmad Amara, Ismael Abu-Saad e Oren Yiftachel.
Il volume (Harvard University Press, Cambridge [MA] 2013, pp. 384, $26.00) raccoglie una ricca varietà di saggi che inquadrano il tema negli aspetti più diversi: giuridico, amministrativo, culturale, urbanistico. All'opera hanno contribuito esperti di rilievo internazionali e specialisti delle Nazioni Unite.
La questione viene opportunamente inserita nel contesto delle lotte indigene: non a caso varie associazioni beduine hanno preso parte ad alcune sessioni dell'UNWGIP (il Gruppo di Lavoro dell'ONU sui popoli indigeni). Attivo per 25 anni (1982-2007), questo organismo ha stimolato e guidato il lungo dibattito grazie al quale l'Assemblea Generale dell'ONU ha potuto approvare la Dichiarazione universale dei diritti dei popoli indigeni (13 settembre 2007).
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