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Te Ara Puoro: A Journey into the World of Maori Music

La Nuova Zelanda offre un esempio unico di convivenza felice fra la cultura indigena (maori) e quella dei coloni europei (pakeha).
A livello politico i contrasti non mancano, ma i secondi, in larga maggioranza, hanno accolto la cultura dei primi facendone una parte irrinunciabile della propria. Cosa che non è accaduta negli altri stati anglofoni extraeuropei (Australia, Canada e Stati Uniti).Questo fenomeno assume particolare evidenza nella musica.
Il termine polinesiano taongo puoro indica l'insieme degli strumenti tradizionali utilizzati dai Maori: fiati e percussioni costruiti con conchiglie, legno, ossa e pietra. Alcuni imitano i suoni naturali, dal rumore del vento al canto degli uccelli. Originariamente legati alle pratiche religiose, poi usati per l'intrattenimento, questi strumenti caddero lentamente in disuso durante il processo di colonizzazione che avrebbe portato alla nascita della Nuova Zelanda (1840). I missionari, comprendendo che il significato religioso degli strumenti avrebbe ostacolato la cristianizzazione, li distrussero o li bruciarono in grande quantità. 
È stato necessario aspettare gli anni Ottanta del secolo scorso perché un artigiano bianco, Brian Flintoff, ricominciasse a costruirli. 
Ma si deve soprattutto a Nunns su questi strumenti hanno riacquistato piena dignità. Il musicista di origine anglo-scandinava li ha studiati, costruiti e suonati. Insieme al musicista maori Hirini Melbourne (1949-2003) ha inciso il disco "Te Ku Te Whe" (Rattle, 1994), che li ha reintrodotti nel panorama musicale neozelandese. Oggi li usano comunemente sia i compositori "colti" di origine europea come Martin Lodge e Gillian Whitehead che gli altri musicisti del remoto arcipelago.
Ma torniamo a Richard Nunns, tuttora molto attivo, che ha pubblicato il volume Te Ara Puoro: A Journey into the World of Maori Music (Craig Potton, Nelson 2014, pp. 176, $69.99). Il titolo significa "il cammino del suono". 
"Te Ara Puoro" racconta il suo viaggio musicale e umano alla (ri)scoperta di questi strumenti. Una strada lunga e difficile, una ricerca appassionata che l'ha messo in contatto con coloro che potevano fornirgli qualche informazione utile. In questo modo Nunns è riuscito a rimettere insieme i frammenti di una conoscenza musicale che rischiava di perdersi per sempre.
Il libro raccoglie una mole impressionante di informazioni - storiche, culturali e tecniche - che ne fanno un'opera insostituibile per chi voglia conoscere la musica tradizionale maori. L'opera, riccamente illustrata, documenta anche il cammmino artistico di Nunns, che ha inciso dischi con artisti molto eterogenei.
La Craig Potton Publishing, fondata nel 1987 dal fotografo ambientalista Craig Potton, è la principale casa editrice indipendente della Nuova Zelanda.
Richard Nunns (Napier, 1945) ha inciso numerosi dischi, fra i quali ricordiamo "Tuhonohono" (Rattle, 2000), con Judy Bailey, "Rangirua: Two Voices", con Evan Parker(Leo Records 2001), con Evan Parker, e "This Appearing World" (Rattle, 2011), con Marilyn Crispell e Jeff Henderson.
Allan Thomas (1942-2010) era Lettore in Etnomusicologia alla Victoria University di Wellington. Specialista di musiche tradizionali, aveva collaborato con Nunns alla stesura del testo.
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Ethnic Cleansing on a Historic Scale

Le considerazioni politiche e geopolitiche sul ruolo dell'ISIS non possono farci dimenticare che questa organizzazione islamista sta realizzando una spietata pulizia etnica delle numerose minoranze etniche (Assiri, Turkmeni) e religiose (yazidi) che vivono nell'Irak settentrionale.
Un rapporto preciso sul tema è quello realizzato da Amnesty International. Si tratta diEthnic Cleansing on a Historic Scale.
Il testo può essere scaricato da questo indirizzo:
 

Mano nera: Esperimenti medici e resistenza nei lager nazisti

Nonostante siano passati 69 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il sospetto che tutti i germanofoni fossero in qualche modo sostenitori del nazionalsocialismo è ancora piuttosto radicato, almeno in Italia. Niente di più falso: in molti casi la popolazione tedesca e le minoranze germanofone organizzarono una strenua resistenza alla dittatura. 
In Sudtirolo, per esempio, dove l'italianizzazione forzata imposta dal fascismo fu contrastata da iniziative popolari di vario tipo, prime fra tutte le scuole clandestine in tedesco create dall'avvocato Josef Noldin.
Un altro caso, anche questo poco noto, si verificò in Alsazia. Lungamente contesa, la regione è stata parte della Germania (1871-1918), poi della Francia (1919-1940), quindi occupata dalla Germania (1940-1945) e infine ritornata alla Francia.
Nel 1940, in seguito all'invasione tedesca, vennero aperti due campi di concentramento: Schirmeck e Natzweiler. Proprio lì un medico virologo, il dottor Eugen Haagen, cominciò a praticare 
esperimenti utilizzando gli internati come cavie, alla ricerca di un vaccino contro il tifo e altre malattie infettive. Nei due campi vennero rinchiusi anche i giovani, ancora minorenni, che facevano parte dell'organizzazione antinazista nota come Main noire/Schwarze Hand (Mano nera), fondata da Marcel Weinum nel 1940. 
Le vite di Eugen Haagen e dei giovani ribelli si incrociarono drammaticamente, dando luogo a due modelli di vita radicalmente opposti: da una parte, un uomo che aveva deciso di servire la  Germania nazista e la scienza; dall'altra, quella di alcuni adolescenti che avevano scelto di lottare per restituire la libertà alla loro terra. 
Le due storie parallele vengono ricostruite con precisione documentaria esemplare nel nuovo libro di Frediano Sessi, Mano nera: Esperimenti medici e resistenza nei lager nazisti (Marsilio, Venezia 2014, pp. 256, € 17).  
L'opera strappa all'oblio una delle tante pagine oscure della Seconda Guerra Mondiale, permettendo al lettore di comprendere il passato attraverso le storie individuali di chi l'ha vissuto, da carnefice impunito o da combattente per la libertà.
Al tempo stesso, il libro rende finalmente giustizia ai giovani della Mano Nera,confermando che nonostante le migliaia di libri dedicati alla Seconda Guerra Mondiale esistono ancora molte storie ignote che aspettano di venire alla luce.  
Frediano Sessi (Torviscosa, 1949), scrittore e saggista, ha pubblicato molte opere. Fra queste ricordiamo "Ritorno a Berlino" (Marsilio, 1993), "Dizionario della tolleranza"(Bompiani, 1995, con Paolo Collo), e "Foibe rosse" (Marsilio, 2007). Inoltre ha tradotto vari libri.
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Birdsong at Dusk

Si intitola Birdsong at Dusk il nuovo CD dell'artista aborigeno William Barton, uno dei più prestigiosi suonatori di didgeridoo.
Nel disco lo affiancano la madre Delmae Barton (voce), John Rogers (violino) e il Kurilpa String Quartet,diretto da Graeme Jennings. Barton, oltre al didgeridoo, suona la chitarra acustica e canta.
In questo lavoro l'artista australiano, autore di tutte le composizioni, propone nuovamente la fusione di musica aborigena e musica classica che lo caratterizza.
William Barton (Mount Isa, Queensland, 4 giugno 1981) appartiene al popolo kalkadunga. Nel 2004 è stato il primo suonatore di didgeridoo a suonare con un'orchestra sinfonica, la Adelaide Symphony Orchestra, con la quale ha eseguito "Requiem" di Peter Sculthorpe (1929-2004). Negli anni successivi i due musicisti, legati da una profonda amicizia, hanno collaborato in varie occasioni.
Barton ha inciso numerosi CD, fra i quali "Songs of Sea and Sky" (ABC Classics), con brani di Peter Sculthorpe riarrangiati per didgeridoo, e il penultimo "Kalkadungu: Music for didjeridu and orchestra" (ABC Classics, 2012). 
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Vivere con la spada: Il terrorismo sacro di Israele

Merita molta attenzione il libro Vivere con la spada: Il terrorismo sacro di Israele, che verrà presentato giovedì 18 settembre (ore 21) alla BiblioteCa Nova di Firenze (Via Chiusi 4/3a,  Firenze). Il libro (Zambon, 2014), scritto dalla giornalista Livia Rokach, mette in luce le falsificazioni e i complotti che caratterizzano la politica israeliana fino dalla nascita dello stato ebraico. A questo scopo l'autrice ha utilizzato una fonte ufficiale: i diari di Moshe Sharett, ex Primo Ministro e Ministro degli esteri israeliano.
Insieme a Livia Rokach interverranno il giornalista Diego Siragusa, autore dell'introduzione e traduttoredella prefazione di Noam Chomsky, e Mahmed Said Hamad, presidente dell'Associazione 
Italo-Palestinese di Firenze.
"Vivere con la spada" è un libro indispensabile per capire veramente l'annosa questione mediorientale, perché non è una delle tante opere filopalestinesi, ma penetra nell'essenza profonda della politica israeliana grazie alla testimonianza diretta di un esponente sionista. Non a caso il governo di Tel Aviv aveva cercato di impedire che i diari suddetti fossero pubblicati.
Per altre informazioni:
 
055-710834

Self-Determination and Secession in Africa: The Post-Colonial State

Nel secondo dopoguerra, e in particolare negli anni Cinquanta e Sessanta, l'Africa ha conosciuto la sua più articolata riorganizzazione territoriale e politica. Sono nati la maggior parte degli stati che oggi vediamo sull'atlante: dal Sudan (1956) al Senegal (1960), dal Gabon (1960) all'Algeria (1962). Eredità diretta del colonialismo europeo, il nuovo assetto continentale si è subito dimostrato fragile e incerto. Basti pensare alle numerose rivendicazioni territoriali che l'hanno insanguinato nell'ultimo mezzo secolo, come quella del Katanga, del Biafra e più recentemente del Sud Sudan.
A ricomporre l'intricato mosaico del separatismo africano provvede il libro Self-Determination and Secession in Africa: The Post-Colonial State (Routledge, London 2014, pp. 296, $145.00), curato da Redie Bereketeab.
Il volume affronta il tema in modo interdisciplinare, analizzando i fattori ideologici, storici, geopolitici ed economici che sono alla base dei movimenti africani per l'autoterminazione. Mette in luce le carenze del diritto internazionale, degli organismi internazionali -fra i quali l'ONU e l'Unione Africana- e delle convenzioni internazionali che riguardano la materia. 
Al tempo stesso si chiede se la secessione porti la pace e la stabilità, soffermandosi in particolare sul caso dell'Eritrea e del Sud-Sudan.
Aggiornata e ampiamente documentata, l'opera non trascura i casi più recenti, come la rivolta dei Tuareg del Mali.
I saggi sono firmati da esperti africanisti, fra i quali Ladan Affi, Dan Kuwali e Henning Melber.
Redie Bereketeab è Ricercatore al Nordic Africa Institute dell'Università di Uppsala (Svezia). Autore di numerosi saggi su questioni africane, ha curato fra l'altro il volume "The Horn of Africa: Intra-State and Inter-State Conflicts and Security" (Pluto Press, 2013).
Per altre informazioni:
 

Victims of Progress: esce l'edizione aggiornata di un testo fondamentale

Il libro che segnaliamo oggi è uno dei testi più importanti in assoluto fra quelli che si occupano dei popoli indigeni.
Si tratta di Victims of Progress, scritto da John H. Bodley e pubblicato originariamente nel 1972. In Italia fu tradotto dalle edizioni Unicopli col titolo "Vittime del progresso" (1991).
Vero precursore di tanti temi che oggi ci sono familiari, il libro è stato recentemente ristampato da Rowman and Littlefield (Lanham [MD], pp. 410, $100.00 / $49.95 / ebook $48.99).
La nuova edizione, la sesta, propone un testo ampiamente rivisto e aggiornato con capitoli dedicati a temi come l'autonomia di Nunavut; gli effetti dei mutamenti climatici; il ruolo delle multinazionali e della Banca Mondiale nello sfruttamento dei territori indigeni; la rinascita indigena dell'America "latina", con particolare attenzione per l'Ecuador e per il Perù; altri casi specifici, come le Filippine, le regioni artiche e l'Australia.
Il volume propone un ampio panorama sociale, storico e culturale dimostrando che lo sviluppo economico e tecnologico ha avuto conseguenze devastanti per gran parte dei popoli indigeni che abitano il pianeta. Nel nome del progresso e dello sviluppo sono state compiute mostruosità di ogni tipo, che molti governi hano avallato o addirittura realizzato in prima persona.
La situazione è ulteriormente peggiorata in seguito all'azione di organismi sovranazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, che hanno difeso gli interessi delle multinazionali pur sapendo che in questo modo avrebbero danneggiato i popoli indigeni.
Chiaro, ben documentato e ricco di spunti su cui riflettere, "Victims of Progress" è un'opera di eccezionale valore culturale e politico. Ne raccomandiamo caldamente la lettura a tutti.
Ecco il sommario:
 
 
Preface and Acknowledgments
1. Introduction: Indigenous Peoples and Culture Scale
Culture Scale, Culture Process, and Indigenous Peoples 
Large-Scale versus Small-Scale 
Society and Culture 
The Problem of Global-Scale Society and Culture 
Social Scale and Social Power
Negative Development: The Global Pattern 
Policy Implications
 
2. Progress and Indigenous Peoples
Progress: The Commercial Explosion
The Culture of Consumption
Resource Appropriation and Acculturation
The Role of Ethnocentrism Civilization’s Unwilling Conscripts Cultural Pride versus Progress The Principle of Stabilization
 
3. The Uncontrolled Frontier
The Frontier Process
Demographic Impact of the Frontier
 
4. We Fought with Spears
The Punitive Raid 
Wars of Extermination 
 
5. The Extension of Government Control
Aims and Philosophy of Administration
Tribal Peoples and National Unity
The Transfer of Sovereignty
Treaty Making
Bringing Government to the Tribes
The Political Integration Process
Anthropology and Native Administration
 
6. Land Policies
The People–Land Relationship 
Land Policy Variables
 
7. Cultural Modification Policies
These Are the Things That Obstruct Progress 
Social Engineering: How to Do It
 
8. Economic Globalization
Forced Labor: Harnessing the Heathens
Learning the Dignity of Labor: Taxes and Discipline
Creating Progressive Consumers
Promoting Technological Change
Tourism and Indigenous Peoples
 
9. The Price of Progress
Progress and the Quality of Life 
Diseases of Development
Ecocide
Deprivation and Discrimination
 
10. The Political Struggle for Indigenous Self-Determination
Who Are Indigenous Peoples? 
The Initial Political Movements 
Creating Nunavut
Guna Self-Determination: The Comarca Gunayala
The Political Struggle
The Shuar Solution
CONAIE: Uprising Politics Reshaping Ecuador's Political Landscape
The Dene Nation: Land, Not Money
Land Rights and the Outstation Movement in Australia
Philippine Tribals: No More Retreat
Indigenous Peoples and the Arctic Council
The United Nations Declaration on the Rights of Indigenous Peoples
Tebtebba: An Indigenous Partnership on Climate Change and Forests
 
11. Petroleum, the Commercial World, and Indigenous Peoples
Petroleum: The Unsustainable Foundation of the Commercial World
The Gwich’in and Oil Development in the Sacred Place Where Life Begins
Petroleum Development and Indigenous Rights in Ecuador 
First Nations Opposition to Canadian Tar Sand Development
Athabasca Chipewyan First Nation (ACFN) vs. Shell Oil
Assigning Responsibility for Tar Sand Development
 
12. Global Warming and Indigenous Peoples 
The Indigenous Response to Global Warming
Indigenous Peoples as Climate Change Refugees
Arctic Warming and Alaska Natives
Global Warming Perpetuators and Beneficiaries
Assessing the Global Costs of Climate Change & the Carbon Economy
 
13. Human Rights and the Politics of Ethnocide
The Realists: Humanitarian Imperialists and Scientists 
The World Bank: Operational Manual 2005 and False Assurances
The Idealist Preservationists
You Can’t Leave Them Alone: The Realists Prevail 
Indigenous Peoples’ Rights Advocates
Voluntary Isolation in the Twenty-First Century
Indigenous Peoples as Small Nations 
Conclusion
Appendixes
Bibliography
Index
About the Author 
 
 
John H. Bodley è Professore Emerito alla Washington State University. Esperto di antropologia culturale, ha pubblicato numerose opere, fra le quali ricordiamo "The Power of Scale" (2003), "Anthropology and Contemporary Human Problems" (sesta ed., 2012) e "The Small Nation Solution" (2013).
Autore di ricerche che lo hanno portato a contatto con vari popoli indigeni, ha collaborato con diversi organismi, fra i quali l'IWGIA.
Per altre informazioni:
 

The Yezidis: The History of a Community, Culture and Religion

La tragica situazione in cui versano alcune minoranze dell'Irak - soprattutto Assiri e yezidi - ha costretto i media a occuparsi di loro. Purtroppo, però, molti hanno fornito informazioni vaghe e confuse su queste culture a lungo dimenticate. Gli Assiri non vengono mai chiamati con questo nome, ma semplicemente "cristiani", così il lettore non può comprendere cosa siano in termini culturali: arabi, kurdi, o chissà cos'altro. Questo non è un dettaglio etnologico, ma un dato essenziale per capire di cosa si stia parlando. 
La feroce persecuzione realizzata dagli estremisti islamici dell'ISIS, come si diceva, ha colpito anche gli yezidi. Questa minoranza religiosa, composta in prevalenza da kurdi, è dedita a un culto precristiano nel quale confluiscono influenze di vario tipo - mitraismo, zoroastrismo, etc. - alle quali si è poi aggiunta quella del sufismo islamico.
Nei secoli scorsi, e fino a poco tempo fa, gli yezidi sono stati perseguitati dai musulmani come "adoratori del diavolo": un caso in parte analogo a quello degli europei che non volevano  abbracciare il cristianesimo. 
Difficile dire quanti siano oggi: le stime più accreditate parlano di 700.000, il 90% dei quali vive in Irak.
A fare luce su questa comunità quasi ignota in Europa ha provvveduto Birgul Acikyildiz, autore del libro The Yezidis: The History of a Community, Culture and Religion (I. B. Tauris, London 2014, pp. 320, £14.99).
Leggibile, ricco di illustrazioni, foto e mappe, il volume esce proprio ora che questa minoranza religiosa sta guadagnando visibilità mediatica in seguito alla spaventosa tragedia che sta vivendo. Come accade abbastanza spesso alle minoranze, purtroppo.  
Birgül Acikyildiz, specialista di arte e architettura ottomana, esperto di cultura yezidi, insegna Storia dell'arte all'Università Mardin Artuklu di Mardin (Turchia).  
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Pagan Dawn

Il rispetto delle minoranze religiose non può limitarsi a quelle monoteiste. Anche se i media privilegiano le fedi che riconoscono una sola divinità, non dobbiamo dimenticare che fra i 7 miliardi di abitanti della Terra esistono 1 miliardo di induisti; alcuni milioni di shintoisti, anche se il numero è difficilmente calcolabile, perché la religione autoctona del Giappone è spesso frammista al buddhismo; oltre 200.000.000 di aderenti a religioni indigene; almeno un milione di politeisti in Europa.
Questa introduzione era necessaria prima di segnalare il nuovo numero di Pagan Dawn (192, estate-autunno 2014), la rivista trimestrale edita dalla Pagan Federation. Questa organizzazione, fondata nel 1971 in Gran Bretagna, ha sedi in molti paesi inclusa l'Italia. 
Il nuovo numero della rivista inglese propone fra l'altro articoli sulla danza tradizionale inglese, sul druidismo e sulla disabilità.
Comunque la si pensi, sarebbe sbagliato disprezzare o deridere questa forma di religiosità, così come non avrebbe senso assimilarla a certe buffonate nostrane come il Mago Otelma.
Al contrario, si tratta di una sensibilità legata alla natura (quindi ecologista) e a culti precristiani che meritano rispetto.
Si tratta di temi che ormai godono di una notevole attenzione accademica. Anche in Italia, dove un editore prestigioso come Il Mulino ha appena pubblicato "Elogio del politeismo", scritto da Maurizio Bettini (Università di Siena).     
Per altre informazioni:
 

Music Endangerment: How Language Maintenance Can Help

Sono ormai molti anni che la protezione del patrimonio culturale immateriale è diventato oggetto di attenzione. Fra le principali iniziative di questo tipo spiccano quelle dell'UNESCO.
La lingua e la musica rientrano a pieno titolo in questa materia. Non solo, ma i forti legami fra le due discipline dovrebbero stimolare uno studio congiunto che finora è stato tentato da pochi. A colmare questa lacuna provvede egregiamente il libroMusic Endangerment: How Language Maintenance Can Help, scritto da Catherine Grant.
Il volume (Oxford University Press USA, New York [NY] 2014, pp. 224, £64.00) è di particolare interesse perchè non parla soltanto di musica, ma inquadra questa arte in un contesto che tiene conto dei suoi stretti legami con la diversità linguistica. A tale scopo l'autrice attinge a una grande varietà di studi etnomusicologici e a quelli su temi connessi - diversità musicale, globalizzazione, world music, etc.
Al tempo stesso analizza criticamente i programmi concepiti per proteggere i patrimoni musicali in pericolo(potremmo dire "musiche minacciate" traducendo l'inglese "endangered musics", se tale espressione non suonasse insolita in italiano).
Catherine Grant costruisce un quadro comparativo fra musica e lingua, applicando le misure elaborate dall'UNESCO, per capire se la conservazione della lingua possa aiutare queste musiche a uscire dalla situazione di pericolo in cui si trovano.
Opera fortemente innovativa, "Music Endangerment: How Language Maintenance Can Help" segna una svolta decisiva negli studi sul tema.
Ecco il sommario: 

 
INTRODUCTION
The problem of music endangerment
Bringing languages into the picture
Why music endangerment matters
Troublesome terminology
Some ethical considerations

1. WHAT WE KNOW AND WHAT WE'VE DONE
1.1 Theoretical foundations
1.2 Documentation and preservation
1.3 Recognition and celebration
1.4 Transmission and dissemination
1.5 Policy and enterprise
1.6 Coordinating and evaluation mechanisms
1.7 Conclusions

2. LANGUAGE AND MUSIC VITALITY: A COMPARATIVE FRAMEWORK
2.1 Systems of learning music
2.2 Musicians and communities
2.3 Contexts and constructs
2.4 Infrastructure and regulations
2.5 Media and the music industry
2.6 Conclusions

3. LEARNING FROM LANGUAGE MAINTENANCE
3.1 Dead or alive? Identifying and assessing music endangerment
3.2 Developing advocacy for music sustainability
3.3 Developing maintenance and revitalization strategies
3.4 Reflecting on aims and outcomes of strategies
3.5 Developing coordinating mechanisms
3.6 Conclusions

4. HOW TO IDENTIFY AND ASSESS ENDANGERMENT
4.1 Modifying the language framework
4.2 Building a new framework for music
4.3 Conclusions

5. MEASURING UP: PUTTING THE FRAMEWORK TO WORK
5.1 A short history of ca trù
5.2 Carrying out the vitality assessment
5.3 A vitality assessment of ca trù
5.4 Conclusions

6. WHERE TO FROM HERE?
6.1 Taking stock: A brief summary
6.2 Next steps in practical terms
6.3 Next steps in research terms
6.4 Closing words

BIBLIOGRAPHY
INDEX
 
 
Catherine Grant è un'etnomusicologa che studia i problemi delle musiche minoritarie. Ricercatrice alla School of Creative Arts dell'Università di Newcastle (Australia), cura il progetto "Assessing the vitality and endangerment of music genres: Towards a global map". Questa iniziativa ha come scopo una raccolta di dati sul livello di vitalità o di pericolo delle musiche realizzate da minoranze e popoli indigeni.
Per altre informazioni:
 

Native American and Indigenous Studies

È uscito il primo numero (I, 1, Spring 2014) di una nuova rivista accademica particolarmente interessante, Native American and Indigenous Studies.
La pubblicazione è realizzata dalla Native American and Indigenous Studies Association, fondata nel 2008 da un gruppo di studiosi indiani. 
Diretta da Jean O’Brien (White Earth Ojibwe, University of Minnesota) e Robert Warrior (Osage, University of Illinois, Urbana-Champaign), la rivista sarà pubblicata con cadenza semestrale dalla University of Minnesota Press.
La rivista è nata per stimolare il dibattito accademico sui problemi politici, sociali e culturali che riguardano i popoli indigeni, con speciale attenzione per gli Indiani nordamericani.
Fra i collaboratori ci sono alcuni dei più prestigiosi specialisti della materia, molti dei quali indigeni.
Ecco il sommario:
 
 
Practicing Native American and Indigenous Studies (Robert Warrior)
 
ARTICLES
Weaving Material Objects and Political Alliances: The Chitimacha Indian Pursuit of Federal Recognition (Daniel H. Usner)
Imaginary Lines: Transcending the St. Croix Legacy in the Northeast Borderlands (Rachel Bryant)
American Indian Removal beyond the Removal Act (John P. Bowes)
 
NOTES FROM THE FIELD
The Lost Letter of Mary Ann Battis: A Troubling Case of Gender and Race in Creek Country (Tiya Miles)
 
REVIEWS
Recensioni di Vanessa Anthony-Stevens, Amy Olen, Michael P. Taylor, Eric S. Zimmer, etc.
 
 
La nuova pubblicazione è una lettura indispensabilie per chi segue i temi suddetti.
Il secondo numero conterrà fra l'altro un forum sulla questione palestinese. 
La rivista accetta articoli e recensioni originali, che possono essere inviate a journal@naisa.org
Per altre informazioni:
 

Fred Graham Creator of Forms - Te Tohunga Auaha

Il libro Fred Graham Creator of Forms - Te Tohunga Auaha, scritto da Maria de Jong, è interamente dedicato a uno dei principal pittori e scultori maori viventi. 
Il volume (Huia, Wellington 2014, pp. 200, $49.99) ripercorre la vita dell'artista partendo dall'infanzia trascorsa a Waikato (Nuova Zelanda) per arrivare fino a oggi.
Fred Graham (Arapuni, 1928) ha insegnato a lungo discipline artistiche. Dal 1984 si dedica alla pittura e alla scultura. Le sue opere, spesso ispirate alla cultura maori, sono state esposte anche all'estero. Ha collaborato con varie gallerie e istituzioni pubbliche neozelandesi.
Maria de Jong, giornalista neozelandese esperta di arte plastica e cultura maori, ha pubblicato vari libri, fra i quali ricordiamo "Two Remarkable Women: Frances Fitzgerald Fawkner & Sara 'Sally' Rainforth", scritto insieme a Rosalind David (Remember the Days, 2013). Vive a Auckland.
Per altre informazioni:
 

Charlie's Country

Charlie's Country è il nuovo film di Rolf de Heer. Come molte opere precedenti del regista olandese, il lungometraggio è ambientato fra gli Aborigeni australiani.
L'interprete principale è David Gulpilil, il più noto attore aborigeno, già protahonista di numerosi film, alcuni dei quali diretti da de Heer.
Gulpilil interpreta appunto il ruolo di Charlie, un aborigeno che vive in una remota comunità del Northern Territory.Scoraggiato dalle leggi che rendono la vita sempre più difficile alla sua comunità, decide di andarsene e di vivere da solo nella foresta, come faceva un tempo.
Questa scelta, però, si rivela sbagliata. Quindi Charlie decide di tornare, deluso ma sicuramente più saggio.
La prima mondiale ha avuto luogo il 22 maggio all'ultimo Festival di Cannes, dove ha ottenuto un notevole successo. Gulpilil è stato premiato come miglior attore nella sezione "Un certain regard". La prima australiana ha avuto luogo il 17 luglio. Per il momento non si sa se il film verrà distribuito in Italia. 
Rolf de Heer (Heemskerk, 1951) vive in Australia dall'età di otto anni. Fra i suoi film, molti dei quali premiati, ricordiamo "The Tracker" (2002) e "Ten Canoes" (2006). 
David Gulpilil (Arnhem Land, 1953) appartiene al popolo yolngu. Ha recitato in numerosi film, fra i quali "L'ultima onda" (1977), "The Tracker" (2002) e "Australia" (2006).
Per altre informazioni:
 

The Hakkâri Massacres: Ethnic Cleansing by Turkey 1924-25

Finalmente i media hanno cominciato a parlare della tragedia degli Assiri, anche se in Italia, curiosamente, non li chiamano col loro nome, ma preferiscono definirli "cristiani iracheni". Speriamo comunque che questa attenzione possa smuovere i cristiani di casa nostra - intellettuali, associazioni, parrocchie, semplici fedeli, etc. - che finora si sono distinti per la loro esemplare sordità nella tragedia che tocca i loro fratelli mediorientali. 
I fatti sono ben noti: le comunità assire dell'Irak vengono perseguitate e costrette a fuggire dagli estremisti islamici dell'ISIS. La stessa sorte tocca agli Yezidi, una piccola minoranza religiosa pre-islamica composta soprattutto da kurdi.
Detto questo, è necessario ricordare che le immani sofferenze del popolo assiro non sono un dato recente, né sono iniziate in Irak. Al contrario, queste risalgono a quello che viene detto
"genocidio armeno", che in realtà fu il genocidio di tutte le minoranze cristiane dell'impero ottomano e della Turchia che ne prese il posto. Non soltanto gli Armeni, quindi, ma anche gli Assiri e i Greci del Ponto. Almeno 3.000.000 di persone morirono in quella tragedia.
Per capire gli orrori di oggi, quindi, è necessario partire da allora. Proprio perciò, contrariamente al solito, segnaliamo la seconda edizione di un libro, dato che si tratta di un'opera fondamentale per conoscere la storia assira recente, dimenticata o falsificata. Il libro in questione si intitola The Hakkâri Massacres: Ethnic Cleansing by Turkey 1924-25. L'autore è lo studioso assiro Racho Donef, che l'aveva già pubblicato nel 2009 col titolo "Massacres and Deportation of Assyrians in Northern Mesopotamia: Ethnic Cleansing by Turkey 1924-1925".
Il volume (pp. 206, pubblicato dall'autore, 2014) raccoglie una notevole quantità di documenti relativi alle stragi e alle deportazioni di assiri compiute dall'esercito turco fra il 1924 e il 1925. Altri documenti ricostruiscono la disputa territoriale fra Turchia e Irak che nacque in quel contesto. Si tratta di un'opera preziosa che colma un vuoto. 
Purtroppo il calvario del popolo assiro non è un ricordo lontano legato a quegli anni, ma continua oggi con le stragi compiute in Irak dall'ISIS (Islamic State of Iraq and Syria).  
Ovviamente la denuncia di questi stermini non deve essere confusa con una posizione ostile nei confronti della religione islamica in quanto tale. Abbiamo difeso e continueremo a difendere le minoranze musulmane minacciate, come gli Uiguri della Cina e i Rohyngia della Birmania. Non esprimiamo giudizi di merito sulle singole religioni, tutte ugualmente degne di rispetto. In alcuni casi, però, queste diventano una copertura per opprimere chi segue le altre.
Semmai, ci sembra doveroso riflettere su un dato di fatto. In quasi tutti i paesi "liberati" dall'intervento americano/occidentale - Afghanistan, Irak, Libia - i fondamentalisti musulmani più sanguinari sono cresciuti e ormai minacciano di travolgere tutti coloro che non si riconoscono nelle loro posizioni: non soltanto le minoranze religiose, ma anche gli altri musulmani. Ci pare opportuno domandarsi se si tratti di un caso o no.  
Racho Donef, nato a Istanbul, vive e lavora in Australia. Specialista del genocidio assiro, autore di saggi e libri sul tema, ha collaborato con varie istituzioni politiche australiane.
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Nuits occitanes. Troubadours' Songs

La cultura occitana vanta un bagaglio linguistico, culturale e musicale di grande importanza, anche se purtoppo questo è ben noto agli studiosi ma viene sostanzialmente ignorato dall'uomo della strada. Fortunatamente ci sono diverse iniziative che ce lo ricordano; una parte di queste nasce al di fuori della minoranza stessa e quindi non ha toni rivendicativi, ma è comunque utile per conoscere questo universo affascinante.
Un esempio recente è il CD Nuits occitanes. Troubadours' Songs (Ricercar, distribuzione Sound and Music, 2014), realizzato dall'Ensemble Céladon.
Questa apprezzata formazione francese, diretta da Paulin Bündgen, propone un'antologia di canzoni scritte da trovatori attivi nei secoli XII e XIII. In queste composizioni, eseguite nella loro integralità, vengono celebrati i temi classici dell'epoca: l'amore, la bellezza femminile, il coraggio dei cavalieri.
Le voci sono accompagnate da numerosi strumenti; flauto dolce, liuto, percussioni, viella e rabab. L'atmosfera sonora molto raffinata viene esaltata dall'acustica perfetta della chiesa di Notre-Dame di Centeilles.
Un'opera ideale per avvicinarsi alla musica occitana.
L'Ensemble Céladon, con sede a Lione, è nato nel 1999. Il suo repertorio comprende musica antica, rinascimentale e barocca. Fra le sue registrazioni ricordiamo "Funeral Teares " (Zig Zag Territoires, 2009) e "Deo Gratias Anglia. Musiques de la Guerre de Cent ans" (Aeon, 2012). 
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Les utopies insulaires: La Corse

Il legame fra l'insularità e il concetto di utopia risale al 1516, anno in cui Thomas More (noto in Italia come Tommaso Moro) pubblicò "Utopia", il celebre testo di filosofia politica che narra di un'immaginaria società insulare. Nei secoli successivi le isole hanno stimolato scrittori e filosofi, poeti e musicisti.  
Un esempio paradigmatico ci viene offerto dalla Corsica, alla quale è dedicato il libro Les utopies insulaires: La Corse (Colonna, Ajaccio 2014, pp.
Curato da Jean-Pierre Castellani e da Jean-Jacques Colonna d'Istria, il volume contiene testi di venti autori isolani -architetti, artisti, critici letterari, giornalisti, storici, etc. -fra i quali Francis Beretti, Thierry Bernardini, Christine Bottero, Jérôme Camilly, Jean-Jacques Colonna d'Istria e Marie-Hélène Ferrandini.
Quello che ne esce è un caleidoscopio di analisi inedite e singolari, dove si alternano James Boswell, Pasquale Paoli, Jean-Jacques Rousseau, Voltaire e cento altre figure storiche legate all'isola per i motivi più diversi.
Incarnazione naturale della fortuna dionisiaca, la Corsica è là dove convergono storia, racconto e fantascienza.
Ricordi, analisi, riflessioni e idee di ogni genere sono i mille tasselli di quest'opera varia e stimolante. Una lettura particolarmente utile agli italiani che vedono nell'isola soltanto 
la meta delle  vacanze estive, senza conoscere la sua storia ricca di legami con l'Italia e con altri paesi europei. Il libro è lo strumento ideale per colmare questa lacuna.  
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Les langues de France

Quando si comincia a seguire i problemi delle minoranze, una delle prime nozioni che si imparano è la lunga e consolidata tradizione centralista della Francia. Del resto, l'avversione per le minoranze linguistiche (circa il 20% della popolazione) è una delle pietre angolari su cui è stata costruita nata la Francia repubblicana che conosciamo.
Fortunatamente, però, diversi segnali indicano che questa concezione retrograda è destinata a tramontare. Nel 2008, per esempio, la Costituzione ha riconosciuto le lingue regionali.
Un utile aggiornamento sulla situazione linguistica della repubblica è il libro Les langues de France (Dalloz, Paris 2014, pp. 192, € 3).   Nel volume Michel Alessio, Violaine Eysseric e Simon Couturier hanno raccolto una serie di documenti ufficiali che chiariscono l'attuale posizione del governo francese sulla questione.
Ecco il sommario:
 
Le cadre juridique relatif aux langues régionales
1. La Constitution 
2. L'enseignement 
3. Les médias 
4. La sphère publique
5. La justice 
6. Les textes internationaux et la question des langues régionales

L'introduzione è di Aurélie Filippetti, Ministro della cultura et della comunicazione.
Per altre informazioni:
 

Venuti a galla. Scritti di metodo, di polemica, di critica.

Ormai è in libreria da un paio di mesi, ma comunque è imperativo segnalarlo: stiamo parlando di Venuti a galla. Scritti di metodo, di polemica, di critica, il nuovo libro di Boris Pahor. 
In questo volume (Diabasis, Parma 2014, pp. 218, € 13,60) l'anziano scrittore triestino appartenente alla minoranza slovena ha riunito numerosi saggi e interventi di vario tipo scritti fra gli anni Sessanta e oggi. Pahor ci conduce per mano, tramite la poesia e la prosa slovena di quegli anni, attraverso i suoi ricordi, dalla persecuzione della minoranza slovena operata dai fascisti al suo internamento in vari campi di concentramento.
Un'opera schierata apertamente in difesa delle minoranze - non soltanto di quella slovena -  e un monito vigoroso alle generazioni future.
Il libro è curato da Elvio Guagnini, già docente di Letteratura italiana all’Università di Trieste e redattore della rivista "Metodi & ricerche", dove ha pubblicato "Per Boris Pahor, uomo laico" (n. 1, 2013).
Boris Pahor (Trieste, 1913) ha pubblicato numersi libri, fra i quali ricordiamo "Necropoli" (Edizioni del Consorzio culturale del Monfalconese, 1997), "Qui è proibito parlare" (Fazi, Roma 2009) e "Figlio di nessuno", con Cristina Battocletti (Rizzoli, 2012). È stato candidato più volte al Premio Nobel.  
Per altre informazioni:

www.diabasis.it

The Naqab Bedouin and Colonialism: New Perspectives

La tragedia del popolo palestinese ha relegato in secondo piano, se non addirittura cancellato, un altro problema molto grave che interessa la stessa terra: quello dei Beduini che abitano il deserto del Negev, vicino al confine con l'Egitto. Questi arabi seminomadi hanno patito le peggiori angherie da parte del governo di Tel Aviv, ma perfino le numerose associazioni vicine alla causa palestinese, tranne rarissime eccezioni, li hanno dimenticati.
Alla fine dello scorso secolo, grazie alla visibilità che l'ONU ha offerto ai popoli indigeni, i Beduini del Negev hanno potuto far conoscere al mondo i loro problemi. Nel frattempo anche l'interesse accademico per questo tema ha registrato una forte incremento, dando vita a libri, saggi e conferenze di notevole spessore. 
In questo fermento si inserisce il libro The Naqab Bedouin and Colonialism: New Perspectives (Routledge, London 2014, pp. 218, $135.00).   
Il volume, curato da Mansour Nasasra, Sophie Richter-Devroe, Sarab Abu-Rabia-Queder e Richard Ratcliffe, raccogli saggi dei maggiori esperti viventi.
Ecco il sommario:
 
 
Part I: Changing Paradigms
1 Introduction: Rethinking the Paradigms (Richard Ratcliffe, Mansour Nasra, Sarab Abu Rabia Qweider, Sophie Richter-Devroe)
2 Bedouin Tribes in the Middle East and the Naqab: Changing Dynamics and the New State (Mansour Nsasra)
3 The Forgotten Victims of the Palestine Ethnic Cleansing  (Ilan Pappe)
4 Past and Present in the Discourse of Negev Bedouin Geography and Space: A Critical Review (Yuval Karplus, Avinoam Meir)
5 Land, Identity, and History: New Discourse on the Nakba of Bedouin Arabs in the Naqab (Safa Abu Rabia)
 
Part II: Naqab Bedouin Activism and Agency
6 The Politics of Non-cooperation and Lobbying: the Naqab Bedouin and Israeli Military Rule (1948-1967) (Mansour Nsara)
7 Bedouin Women's Organizations in the Naqab: Social Activism for Women's Empowerment? (Elisabeth Marteu)
8 Colonialism, Cause Advocacy, and the Naqab Case (Ahmad Amara)
 
Part III: Politics of Research on/for/with Naqab Bedouin
9 Shifting Discourses: Unlocking Representations of Educated Bedouin Women's Identities (Sarab Abu Rabia-Queder)

Il libro inquadra il problema in una nuova prospettiva che archivia un approccio alla questione mediorentale ormai logoro e suparato.
Mansour Nsasra, esperto di questioni mediorientali e relazioni internazionali, ha insegnato all'Università di Exeter.
Richard Ratcliffe, antropologo, si è laureato con una tesi che analizza il ruolo delle ONG nei confronti dei Beduini del Negev.
Sarab Abu Rabia-Queder, esperta di questioni mediorientali,  ha scritto fra l'altro il libro "Excluded and Loved: Educated Bedouin Women's Life Stories (Eshkolot and Magnes, 2008).
Sophie Richter-Devroe è Lettrice di Studi mediorientali all'Università di Exeter. Il suo libro "How Women Do Politics: Peacebuilding, Resistance and Survival in Palestine" sarà pubblicato entro la fine del 2004 dalla University of Illinois Press.
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Gezi: Eine literarische Anthologie

Questo libro è uscito ormai da quasi due mesi, ma ci sembra comunque nevessario segnalarlo per il suo grande rilievo poltico e culturale.
Stiamo parlando di Gezi: Eine literarische Anthologie (Binooki Verlag, Berlin 2014, pp. 130, € 19,90), dove dieci scrittori (donne e uomini) e una fotografa descrivono le motivazioni e lo sviluppo della rivolta popolare scoppiata a Istanbul nel maggio del 2013.
Il ritratto che ne emerge, molto eterogeneo, è molto utile per capire l'essenza di un fenomeno che presenta varie somiglianze con altre rivolte popolari degli ultimi anni, dagli indignados spagnoli a Occupy Wall Street. Per la Turchia, dove il governo alterna aperture democratiche e rigurguti autoritari, la rivolta del parco Gezi ha segnato un precedente storico.
Il libro è curato dalla turcologa Sabine Adatepe, che firma l'introduzione. 
La casa editrice Binooki, diretta Selma Wels e Inci Bürhaniye, è nata per diffondere in Germania opere turche.
Per altre informazioni:
 
http://binooki.com