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Venticinque anni dopo la caduta del Muro
9 novembre 1989 - 9 novembre 2014

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Il 9 novembre segna il venticinquesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino.
L'ultimo numero del settimanale Sette (supplemento del Corriere della sera, 31 ottobre) dedica la copertina a questa ricorrenza, facendo un bilancio sostanzialmente negativo: "Il Muro delle illusioni".
Si tratta di un giudizio condivisibile. Ma nessuna pubblicazione, eccettuato qualche giornale tedesco, includerà in questo bilancio un esame della situazione in cui versa la minoranza soraba, che faceva parte della defunta DDR (Repubblica Democratica Tedesca). 
In seguito alla riunificazione (1990) questa minoranza slavofona, che conta circa 70.0000 persone, è diventata la più numerosa delle quattro riconosciute da Berlino: le altre sono i Danesi, i Frisoni e gli Zingari (divisi in Rom e Sinti).
L'associazione culturale soraba Domowina, nata nel 1945, ha continuato la propria attività, ma stavolta come organizzazione indipendente dal potere politico. Nel 1991 il governo federale, la Sassonia e il Brandeburgo hanno creato la Stiftung fur das sorbische Volk (Fondazione per il popolo sorabo), che ha il compito di tutelare le strutture culturali sorabe e fornire loro un adeguato sostegno economico.
Nel 2005 é nato il Serbska Ludowa Strona (SLS, Partito Popolare Sorabo).
In ogni caso la minoranza manifesta un notevole malumore. La Lusazia, regione storica dei Sorabi, resta divisa fra Brandeburgo e Sassonia. Il bilinguismo è quasi inesistente e la situazione della lingua rimane molto grave. Nel 2008 numerosi esponenti politici e culturali sorabi hanno firmato un appello rivolto al governo e all'opinione pubblica. La minoranza lamenta la riduzione dei finanziamenti pubblici "in seguito a un disimpegno progressivo del governofederale". "E' incomprensibile - si legge fra l'altro - che un paese aperto al mondo come la Germania,  che ha ratificato tutti i trattati europei sui diritti delle minoranze, non riesca a tutelare adeguatamente il popolo sorabo".
Nel 2011 la grave situazione del sorabo è stata confermata dall'UNESCO.
Il caso della minoranza soraba assume un valore che supera il caso specifico, perchè ci ricorda che i regimi liberaldemocratici, nonostante un luogo comune molto diffuso, non garantiscono sempre una tutela effettiva delle minoranze.
Per altre informazioni:

Instrumentalisierung einer Kultur: Zur Situation bei den Sorben 1948-1989

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La Germania è uno degli stati europei dei quali si parla meno per quanto riguarda le minoranze. Eppure in questa federazione vivono comunità danesi, frisoni, rom e sorabe. Queste ultime, che vivevano nella Repubblica Democratica Tedesca, sono diventate parte della nuova Germania 
nata con la riunificazione (1990).
I Sorabi sono una minoranza slavofona che conta circa 70.000 persone. La loro regione storica, la Lusazia, è divisa fra due stati confederati (Brandeburgo e Sassonia). I tentativi di riunirla sono stati vani anche dopo la fine della dittatura comunista. 
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale le organizzazioni della minoranza si appellarono ai vincitori nella speranza che il riassetto della Germania includesse l'indipendenza della regione. Ma l'esercito statunitense si ritirò dalla Lusazia permettendo che questa venisse occupata dall'URSS e diventasse parte della nuova Germania comunista.
Il 10 maggio 1945 l'associazione Domowina, che era stata bandita dalla dittatura nazionalsocialista, fu nuovamente legalizzata e riconosciuta come "rappresentante politico, antifascista e culturale dell'intera nazione soraba".
Quindi vennero approvate alcune leggi che garantivano alla minoranza altri diritti, che però sarebbero stati limitati dal rigido controllo della Stasi.
Durante la dittatura, nonostante l'anticomunismo diffuso nell'Europa occidentale, non si sono mai sentite voci che si levassero in difesa di questa minoranza oppressa. 
La sua storia dimenticata è stata ricostruita nel libro Instrumentalisierung einer Kultur: Zur Situation bei den Sorben 1948-1989 (Domowina Verlag, Bautzen 2014, pp. 275, € 19,90). Il volume, scritto dallo storico sorabo Timo Meškank, fornisce una testimonanza preziosa. L'autore ha conosciuto di persona i lati negativi della dittatura, che ha costretto la minoranza soraba ad accettare vari compromessi.  
Il libro meriterebbe una traduzione in italiano o in inglese, così che tali vicende fossero conosciute anche al fuori dei paesi germanofoni. Timo Meškank (Dresda, 1965), studioso esperto di cultura soraba, ha pubblicato numerosi lavori in sorabo e in tedesco, fra i quali "Kultura w sluzbje totalitarneho rezima" (Domowina Verlag, 2011).
Per altre informazioni:
 

Nomads I Have Known and Loved: A Thirty-Year Journey into the Cultures, Customs, Homes and Hearts of Africa's Tribal Peoples

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Fortunatamente ci sono ancora persone che scelgono di dedicare la propria vita ai popoli indigeni. Costituiscono un'associazione, raccolgono fondi e medicinali, talvolta vivono con questi popoli per periodi più o meno lunghi, condividendo i loro problemi quotidiani.
Una di queste persone è Irma Turtle, che da circa 30 anni lavora per i popoli nomadi africani.
Nomads I Have Known and Loved: A Thirty-Year Journey into the Cultures, Customs, Homes and Hearts of Africa's Tribal Peoples è il titolo del libro dove racconta questa esperienza, fatta di storie, foto, ricordi e testimonianze.  
Il volume (TurtleWill Press, Carefree [AZ] 2014, pp. 214, $20.78) è stato pubblicato dalla sua associazione, TurtleWill. Contiene oltre 200 foto, 56 delle quali a tutta pagina. Nel corso dei suoi viaggi in vari paesi africani (Etiopia, Mali, Namibia e Niger) la donna ha imparato a conoscere e ad amare popoli nomadi come gli Hamar, gli Himba, i Tuareg e i Wodaabe.
Raccontando i loro riti e le loro tradizioni l'attivista americana ci fornisce una testimonianza di grande valore culturale e umano. Questa è la resistenza pacifica con la quale questi popoli cercano di conservare una specificità che il mondo circostante, a cominciare dagli stati in cui vivono, cerca in ogni modo di cancellare.
Irma Turtle (Newton, MA), pittrice statunitense, si è laureata allo Smith College nel 1966. Ha ottenuto vari riconoscimenti in campo artistico. Dirige l'associazione TurtleWill, che ha fondato nel 1997. 
Per altre informazioni:
 

Des pérégrinations du droit des peuples à disposer d'eux-mêmes: Nouvelle-Calédonie - Nunavut

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Il diritto dei popoli all'autodeterminazione continua a essere evocato frequentemente, ma resta qualcosa di vago e indefinito. Che cos'è in pratica? Coincide con il diritto alla secessione? Come può convivere con un contesto normativo che lo afferma, ma al tempo stesso ribadisce che le frontiere sono immutabili (Atto di Helsinki, 1975)?  
Nel libro Des pérégrinations du droit des peuples à disposer d'eux-mêmes: Nouvelle-Calédonie-Nunavut (L'Harmattan, Paris 2014, pp. 434,  38,95)Jean-Baptiste Manga cerca di rispondere a queste e ad altre domande. Lo studioso si concentra su due casi: quello della Nuova Caledonia, una colonia francese dove la maggioranza della popolazione autoctona (Kanak) reclama l'indipendenza, e Nunavut, la regione del Canada subartico a maggioranza inuit, autonoma dal 1999. 
Questi esempi di autodeterminazione sono due utopie che si sono trasformate in realtà.
Il libro di Manga molto utile per capire un tema che spesso viene rifiutato o esaltato acriticamente.
Jean-Baptiste Manga (1958), storico, insegna in Nuova Caledonia da 25 anni. Si è laureato nel 2013 con una tesi che è stata poi rielaborata per trarne questo libro.
Per altre informazioni:
 

Tahiti-Pacifique n.278

Il nuovo numero di Tahiti-Pacifique (278, octobre 2014) ci offre l'occasione di parlare di questo interessante mensile francofono pubblicato in Polinesia "francese". La sua redazione si trova sull'isola di Moorea, a 15 km da Tahiti.
Fondato nel 1991 dal giornalista Alexander Walter du Prel, il giornale offre informazioni di prima mano su un panorama politico e culturale completamente ignorato in Italia e comunque molto trascurato in quasi tutti i paesi europei.
Indipendente e rigoroso, "Tahiti-Pacifique" pubblica articoli su temi politici, culturali ed economici, un panorama delle notizie relative all'intera regione del Pacifico meridionale, fumetti, etc.
Du Prel ha scritto due libri di racconti che sono stati tradotti in italiano: "Tahiti, paradiso pazzo" (2013) e "Il blu che ferisce gli occhi: Racconti moderni dei Mari del Sud" (2013), entrambi reperibili su Amazon.
Per altre informazioni:  
 

Il genocidio del Biafra. Bibliografia recente

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AA. VV., Legacies of Biafra: Violence, Identity and Citizenship in Nigeria, numro speciale di "Africa Development", XXXIV, 1, 2009.
 
AA. VV., The Nigeria-Biafra War, 1967-1970: Postcolonial Conflict and the Question of Genocide, numero speciale di "Journal of Genocide Research", XVI, 2-3, 2014.


Abuah A., Another Biafra, Xlibris, Bloomingtom (IN) 2012 [romanzo].
 
Achebe C., There Was a Country: A Personal History of Biafra, Penguin, London 2012.
 
Adewusi R., Biafra: Lest We Forget!, AuthorHouse, Bloomington (IN) 2011.
 
Adichie C. N., Metà di un sole giallo, Einaudi, Torino 2008 [romanzo].
 
Chuku G. (a cura di), The Igbo Intellectual Tradition. Creative Conflict in African and African Diasporic Thought, Palgrave Macmillan, London 2013.
 
Ebiem O., Nigeria, Biafra, and Boko Haram: Ending the Genocides through Multistate Solution, Page Publishing, New York (NY) 2014.
 
Efiong P., Nigeria and Biafra: My Story, African Tree Press, New York (NY) 2007.
www.abebooks.it/Nigeria-Biafra-Story-Philip-Efiong-African/9410959117/bd

Ekwe-Ekwe H., Biafra Revisited, African Renaissance, Dakar and Reading, 2006.
www.africanbookscollective.com
 
Gould M., The Struggle for Modern Nigeria: The Biafran War 1967-1970, I. B. Tauris, London 2012.
 
Korieh C., The Nigeria-Biafra War: Genocide and the Politics of Memory, Cambria Press, Amherst (NY) 2012.
www.cambriapress.com
 
Malia J., Biafra: The Memory of the Music, Melrose Books, Ely 2007.
 
Nkwocha O., The Republic of Biafra: Once Upon a Time in Nigeria. My Story of the Biafra-Nigerian Civil War. A Struggle for Survival (1967-1970), AuthorHouse, Bloomington (IN) 2010.
 
Obienyem V., Ojukwu: The Last Patriot, Wisdom Publishers, Ibadan 2005.
 
Odurukwe I., A New Dawn, Biafra, Our Right to Self-Determination, Freedom and the Future, AuthorHouse, Bloomington (IN) 2010. 
www.authorhouse.com 
 
Oguejio P. T., Kalu U. (a cura di), Crossroads: An Anthology of Poems in Honour of Christopher OkigboApex Books, Abeokuta 2008.
 
Onuoha G., Challenging the State in Africa: MASSOB and the Crisis of Self-Determination in Nigeria, Lit Verlag, Münster 2014.
 
Ugochukwu F., Biafra, la déchirure: Sur les traces de la guerre civile nigériane de 1967-1970, L'Harmattan, Paris 2009.
 
Vollaro M. K., Le narrazioni del Biafra. Immagine e storiografia della guerra civile nigeriana, Grin Verlag, München 2012.

Afrique, la guerre en cartes

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La decolonizzazione è stata un colossale inganno. Soprattutto per quanto riguarda l'Africa, dove stati creati a tavolino sono stati lasciati nelle mani di governi corrotti, inefficienti e liberticidi. Lo conferma la grande quantità di guerre che hanno costellato il continente nero negli ultimi 60 anni. Molte di queste sono nate dall'insensatezza dei confini che erano stati imposti dalle vecchie potenze coloniali. 
Le guerre che sconvolgono l'Africa sono così tante che i mezzi di comunicazione non riescono a documentarle tutte. Molte restano nell'ombra,  ma i loro costi umani sono comunque altissimi. 
L'africanista Bernard Lugan ha messo ordine in questo panorama articolato con Afrique, la guerre en cartes (L'Afrique Réelle, 2014). 
Questo atlante -300 pagine, 100 cartine in quadricromia- è diviso in due parti. La prima si concentra sulle guerre odierne. La seconda cerca
invece di anticipare i possibili conflitti di domani.
Opera davvero unica nel suo genere, "Afrique, la guerre en cartes" è stata concepita da Lugan traendo spunto dai corsi che l'esperto francese tiene in alcune scuole. Dotato di un approccio concreto e privo di vizi ideologici, il volume è uno strumento prezioso per tutti: militari, studiosi di geopolitica, semplici curiosi che vogliono capire a fondo la complessa realtà del continente africano.
Bernard Lugan ha pubblicato molti libri sull'Africa, fra i quali "Pour en finir avec la colonisation: l'Europe et l'Afrique, XVe-XXe siècle"
(Éditions du Rocher,‎ 2006), "Décolonisez l'Afrique!" (Editions Ellipses,‎ 2011) e "Histoire des Berbères, des origines à nos jours: Un combat identitaire pluri-millénaire" (Bernard Lugan Editeur,‎ 2012). Ha fondato e dirige la rivista "L'Afrique réelle".
Il libro costa 50 euro (spedizione inclusa) e può essere acquistato soltanto tramite il sito dell'autore:
 

From Crisis to Catastrophe: The Situation of Minorities in Iraq

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La situazione delle minoranze che vivono in Irak rimane gravissima. Non solo, ma gran parte di queste viene ignorata dalla stampa: parliamo di minoranze religiose come i Baha'i e i mandei, di minoranze liguistiche come i Turkmeni e i Rom. 
Nei primi nove mesi del 2014 sono state uccisi oltre 12.000 civili, larga parte dei quali appartenenti a minoranze.
Purtroppo non si tratta di una novità, perché anche in passato queste comunità erano state vittime di torture, massacri, rapimenti ed altre violenze. Il nuovo rapporto del Minority Rights Group, From Crisis to Catastrophe: The Situation of Minorities in Iraq, fa il punto su questa situazione e cerca di immaginarne i possibili sviluppi.
Il testo è disponibile in versione cartacea oppure può essere scaricato gratuitamente.
Per altre informazioni:
 

Heirs to Forgotten Kingdoms: Journeys into the Disappearing Religions of the Middle East

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Questa mailing list è dedicata in prevalenza ai popoli minacciati. Ma non sempre questi sono oggetto di minacce fisiche: in molti casi sono in pericolo le loro lingue, le loro culture, le loro religioni. 
A proposito di queste ultime, il libro Heirs to Forgotten Kingdoms: Journeys into the Disappearing Religions of the Middle East (Basic Books,
New York [NY] 2014, pp. 352, $28.99) merita senza dubbio di essere segnalato.  
Scritto da Gerard Russell, il volume si concentra su sette minoranze religiose comprese in un'area che va dall'Egitto all'India.  
Le comunità trattate sono le seguenti: Copti (Egitto), Drusi (Libano), Kalash (Pakistan), Mandei (Irak), Samaritani (Israele), Yezidi (Irak e Turchia) Zoroastriani (India, Iran). Alcune sono strettamente legate all'attualità.
Un'opera insolita e preziosa, un strumento indispensabile per chi vuole conoscere la varietà religiosa delle aree trattate, con particolare attenzione al Medio Oriente, che non è fatto soltanto di ebrei e musulmani.
Il libro non parla soltanto della loro storia, ma anche dei rituali e dei pericoli che minacciano la loro sopravvivenza.
Ci sembra comunque necessario fare un modesto appunto al titolo. Se spesso si tratta di comunità poco numerose (Kalash, Mandei, Samaritani, Zoroastriani), ci sembra però esagerato dire che altre rischiano di scomparire. In particolare i Copti, che in Egitto sono almeno 8.000.000, cioo`circa 1/10 della popolazione.
Gerard Russell, laureato a Oxford, ha svolto attività diplomatica per la Gran Bretagna. "Heirs to Forgotten Kingdoms" è il suo primo libro.
Per altre informazioni:

Radovan Karadzic: Architect of the Bosnian Genocide

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Il secolo scorso è stato costellato di genocidi. Nessun continente si è salvato. Biafra, Bosnia, Cambogia, Papua Occidentale, Ruanda, Tibet. Armeni, Assiri, ebrei, Greci, Maya... un elenco che potrebbe continuare a lungo. 
Se da una parte molti dicevano "Mai più", dall'altra molti altri lavoravano nell'ombra per realizzare nuovi genocidi, sempre più devastanti e precisi grazie ai progressi tecnologici dei quali potevano usufruire. 
Solo in pochi casi, però, è stato possibile dare un volto preciso agli organizzatori materiali di queste tragedie. In altre parole, a coloro che si erano seduti a un tavolo e avevano pianificato queste tragedie con carta e penna. 
Un caso paradigmatico è quello di Radovan Karadzic, figura centrale dei nazionalisti serbo-bosniaci durante la lunga guerra che ha sconvolto laregione balcanica fra il 1992 e il 1995. Il libro Radovan Karadzic: Architect of the Bosnian Genocide (Cambridge University Press, Cambridge
2014, p. 360, $ 32.99), scritto da Robert J. Donia, fornisce un ritratto accurato e stimolante del leader serbo-bosniaco.
Dotato di un carisma e di un'intelligenza non comuni, questo psichiatra è il primo responsabile del genocidio dei musulmani bosniaci. Incriminato per crimini di guerra e genocidio dal Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia dell'Aja, latitante per quasi 13 anni, Karadzic è stato arrestato nel 2008. Il processo contro di lui è cominciato nel 2010; la sentenza verrà emessa nel 2015.
Secondo l'autore, fra l'altro, è stata proprio la democrazia postcomunista a creare le condizioni perchè i Serbo-bosniaci potessero portare a termine il disegno criminale concepito da Karadzic.  
Ricomponendo la complessa vicenda umana e politica di Karadzic l'autore racconta l'eterna storia del demagogo che viene travolto dalla propria megalomania e architetta un genocidio che gli permetterà di passare alla storia.
Robert J. Donia è ricercatore associato della University of Michigan (Ann Arbor). Ha collaborato con il Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia dell'Aja. Ha pubblicato vari saggi e libri, fra i quali "Islam under the Double Eagle: The Muslims of Bosnia and Herzegovina
1878-1914 (Columbia University Press, 1981) e "Sarajevo: A Biography" (Hurst, 2005).
Per altre informazioni:
 

The Nigeria-Biafra War, 1967-1970: Postcolonial Conflict and the Question of Genocide

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Il nuovo numero della rivista accademica "Journal of Genocide Research" (XVI, 2-3, 2014), relizzata dagli studiosi dell'International Network of Genocide Scholars, è dedicato al tema The Nigeria-Biafra War, 1967-1970: Postcolonial Conflict and the Question of Genocide.
Il fascicolo raccoglie i contributi di vari esperti che esaminano il tema alla luce dei più recenti studi sul tema.
Da almeno una decina d'anni la questione biafrana ha riacquistato una certa visibilità.
La secessione della regione nigeriana (1967), abitata in larga prevalenza da igbo, segna l'inizio di una lunga guerra che sfocia in un vero eproprio genocidio. Il primo responsabile è il governo britannico guidato dal laburista Harold Wilson, che si dichiara disposto ad accettare "la morte di mezzo milione di biafrani, se necessario". Purtroppo il bilancio finale sarà ancora più tragico: oltre un milioni di morti.
Alla guerra si aggiunge la carestia creata per piegare i secessionisti. La stampa diffonde le foto di bambini biafrani con la pancia gonfia per avitaminosi.
Le immagini di persone consumate dalla fame e dagli stenti  on si sono più viste dalla Seconda Guerra Mondiale: è il primo genocidio che la televisione documenta in tempo reale.
Il sogno dei separatisti tramonta il 15 gennaio 1970, quando i secessionisti si arrendono. La regione viene ufficialmente reintegrata nella Nigeria.
Dimenticata per lungo tempo, alla fine degli anni Novanta la questione biafrana ricomincia a stimolare un certo interesse, prima in sordina, poi in modo sempre più deciso. Nel 1999 un gruppo di igbo fonda il Movement for the Actualization of the Sovereign State of Biafra (MASSOB). Guidato da Ralph Uwazurike, il nuovo movimento reclama la costituzione di uno stato biafrano. Negli ultimi anni gli Igbo, come altri popoli della federazione, hanno sofferto la persecuzione feroce dei Boko Haram, una setta islamica che terrorizza tuttora il paese.
I contributi contenuti nel fascicolo analizzano accuratanente questa storia tragica e complessa. 
Ecco il sommario:
 
 
The Nigeria-Biafra war: postcolonial conflict and the question of genocide (Lasse Heerten & A. Dirk Moses)
'Ours is a war of survival': Biafra, Nigeria and arguments about genocide, 1966-70 (Douglas Anthony)
Marketing genocide: Biafran propaganda strategies during the Nigerian civil war, 1967-70 (Roy Doron)
The UK and 'genocide' in Biafra (Karen E. Smith)
Israel, Nigeria and the Biafra civil war, 1967-70 (Zach Levey)
Dealing with 'genocide': the ICRC and the UN during the Nigeria-Biafra war, 1967-70 (Marie-Luce Desgrandchamps)
Humanitarian encounters: Biafra, NGOs and imaginings of the Third World in Britain and Ireland, 1967-70 (Kevin O'Sullivan)
'And starvation is the grim reaper': the American Committee to Keep Biafra Alive and the genocide question during the Nigerian civil war, 1968-70 (Brian McNeil)
The Biafran secession and the limits of self-determination (Brad Simpson)
'Biafra of the mind': MASSOB and the mobilization of history (Ike Okonta)
The Asaba massacre and the Nigerian civil war: reclaiming hidden history (S. Elizabeth Bird & Fraser Ottanelli)
 
Il "Journal of Genocide Research" è diretto da A. Dirk Moses (University of Sydney).


Per altre informazioni:

Quaterni di l'indipendenza

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Il titolo non è un errore, perché non è italiano ma corso: si chiama proprio così, Quaterni di l'indipendenza, la nuova rivista lanciata dal movimento politico Corsica Libera. La pubblicazione affianca e completa l'opera informativa dello storico mensile isolano "U rimombu".
Il primo numero si concentra su alcune idee che circolano sull'indipendenza della Corsica, cercando di dimostrare che si tratta di opinioni infondate. 
Come si può immaginare, l'ambiente separatista corso è stato fortemente galvanizzato dal referendum scozzese e da quello che dovrebbe tenersi in Catalogna il 9 novembre.   
Una particolarità della nuova rivista è che le sue pagine sono aperte a tutti: chi volesse contribuire con articoli, commenti o riflessioni è invitato a farsi avanti.
Per altre informazioni:
 

Esa ruca llamada Chile y otras crónicas mapuches

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La visibilità che alcuni popoli indigeni hanno acquistato negli ultimi 20-25 anni ci ha consentito di conoscere anche numerosi giornalisti 
provenienti dalle loro fila. 
Uno di questi è il mapuche Pedro Cayuqueo, autore del libro Esa ruca llamada Chile y otras crónicas mapuches(Catalonia, Santiago de Chile 2014, pp. 
Il volume è stato presentato durante la conferenza mondiale sui popoli indigeni che si è svolta recentemente all'ONU (22-23 settembre). 
Il titolo ("Questa casa chiamata Cile e altre cronache mapuche") vuole mettere in evidenza "l'importanza del dialogo a livello nazionale su questo tema", come dice l'autore, alludendo alla situazione odierna del popolo mapuche (10% della popolazione cilena).
Analista lucido e preciso, sincero difensore del suo popolo ma alieno da ogni velleitarismo, Cayuqueo esamina vari temi politici, culturali e sociali. Critica puntualmente la presidentessa cilena, Michelle Bachelet (2006–2011, rieletta nel 2014) e la sua politica nei confronti dei Mapuche.
Pedro Cayuqueo (Puerto Saavedra, 1975) ha fondato e diretto due periodici, "Azkintuwe" e "Mapuchetimes". Collabora a diverse testate cilene, fra le quali "The Clinic" e "Caras". Fa parte dell'Agencia Internacional de Prensa Indígena (RED-AIPIN) e dell'Instituto Nacional de Derechos Humanos (INDH). Inoltre è emembro fondatore del partito mapuche Wallmapuwen, nato nel 2005.
Ha pubblicato vari libri, fra i quali ricordiamo "La voz de los lonkos. Selección de reportajes del periódico Azkintuwe" (Catalonia, 2013).
Per altre informazioni:
 

An Indigenous Peoples' History of the United States

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I libri che vengono pubblicati sugli Indiani del Nordamerica sono moltissimi: li segnaliamo spesso, anche se naturalmente non possiamo farlo con tutti. Come si può immaginare, si tratta di opere molto diverse per taglio, tema e qualità. 
Una che ci sembra di particolare interesse è An Indigenous Peoples' History of the United States (Beacon Press, Boston[MA] 2014, pp. 296, 
$27.95).
Il volume porta la firma di Roxanne Dunbar-Ortiz, che non è un nome nuovo per chi segue con attenzione le questioni indigene nordamericane.
Negli Stati Uniti esistono oltre 500 comunità indiane che godono di riconoscimento federale, per un totale di quasi 3.000.000 di persone.
Il libro contesta radicalmente la vulgata che dipinge gli Stati Uniti d'America come la "patria della libertà", dimostrando che questi hanno sempre perseguito una politica genocida nei confronti dei popoli autoctoni. 
L'autrice ripercorre più di tre secoli portando alla luce episodi dimenticati o poco noti della storia statunitense, che ne esce totalmente ridisegnata. Come dice il titolo, è una storia degli Stati Uniti vista dall'altra parte, con gli occhi dei vinti. Al tempo stesso, una storia fatta di resistenza e di dignità. 
Un'opera di grande spessore storico, culturale e umano, una lettura indispensabile. 
Roxanne Dunbar-Ortiz (San Antonio, Texas, 10 settembre 1939), storica e attivista, ha pubblicato molti libri, fra i qualiricordiamo "Indians of the Americas: Human Rights and Self-Determination" (Zed Press, 1984), "The Miskito Indians of Nicaragua: Caught in the Crossfire" (Minority Rights Group, 1988) e "Blood on the Border: Memoir of the Contra War" (South End Press, 2005. 
Per altre informazioni:
 

La geopolitica delle religioni

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Negli anni scorsi abbiamo segnalato varie volte "Eurasia", l'autorevole rivista di geopolitica fondata e diretta da Claudio Mutti. Torniamo a farlo in occasione del nuovo numero (3/2014),dedicato in prevalenza al tema La geopolitica delle religioni.
Dall'India al Vaticano, dalla Cina agli Stati Uniti, il fascicolo analizza con la consueta acutezzauna ricca varietà di temi che dominano la geopolitica odierna, dove il peso del fattore religioso si fa sempre più marcato e determinante.  
Ecco il sommario:
 
 
Editoriale
Claudio Mutti, La geopolitica delle religioni
 
Dossario: La geopolitica delle religioni
Marco Costa, La tradizione confuciana nella Cina socialista
Parama Karuna Devi, Narendra Modi e il Risorgimento induista
Ermanno Visintainer, Religioni in Asia centrale
Carmela Crescenti, Geopolitica del sufismo
Ali Reza Jalali, Geopolitica dell'Islam sciita
Giuseppe Cappelluti, L'Islam russo: il Tatarstan
Vittoria Squillacioti, Le confraternite sufiche in Senegal
Ivelina Dimitrova, Il pilastro ortodosso dello Stato russo
Leonid Savin, Chiesa ortodossa russa, Stato e società
Stefano Vernole, L'influenza dell'Ortodossia sulla geopolitica serba
Andrea Turi, Docete omnes gentes. La geopolitica del Vaticano
Mahdi D. Nazemroaya, La persecuzione dei cristiani in Siria e in Iraq
Aldo Braccio, Protestantesimo e Occidente
Alessandra Colla, Deus vult. Sette protestanti e imperialismo statunitense
Kevin Barrett, L'Islam come controcultura americana
Gian Pio Mattogno, I fondamenti teologici dell'imperialismo sionista
Ábel Stamler, Una setta sionista in Ungheria
 
Interviste
Intervista a Guglielmo Duccoli (a cura di Aldo Braccio)
 
Recensioni
Aleksandr Dugin e Alain de Benoist, Eurasia, Vladimir Putin e la grande politica

 
Alla rivista "Eurasia", che viene pubblicata dal 2004, collaborano alcuni dei più prestigiosiesperti di geopolitica, sociologia e relazioni internazionali. Ogni numero è dedicato in gran parte a un tema centrale. Fra gli arretrati segnaliamo La NATO (1/2009), Palestina(2/2009), BRICS: i mattoni del nuovo ordine (3/2011) e La geopolitica delle lingue (3/2013).
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Les abandonnés de la République: Vie et mort des Amérindiens de Guyane française

Les abandonnés de la République
Les abandonnés de la République

Quando diciamo che la Francia misura 544.000 kmq ci riferiamo soltanto alla sua parte europea, senza calcolare le colonie sparse in quattro continenti (Africa, America, Antartide e Oceania). Facendo un calcolo totale la cifra suddetta arriva quasi a raddoppiare (1.049.000).
Di conseguenza la regione più grande non è il Midi-Pyrénés, ma la Guyana francese, situata sulla costa atlantica del Sudamerica e confinante col Brasile.
Come altre colonie francesi - per esempio la Nuova Caledonia e la Polinesia "francese" - la Guyana è abitata da vari popoli indigeni (circa 10.000 persone). Diversamente dai Kanak e dai Maohi degli arcipelaghi suddetti, però, capita moltoraramente che la stampa si occupi di loro. 
Eppure meritano molta attenzione, dato che vivono in condizioni molto difficili, quando non addirittura tragiche.
A questo tema è dedicato il libro Les abandonnés de la République: Vie et mort des Amérindiens de Guyane française(Albin Michel, Paris 2014,
pp. 352, € 22,50).
L'opera è il frutto di una lunga ricerca sul campo condotta da Alexandra Mathieu, Yves Géry e Christophe Gruner.
Questi popoli, come si diceva, devono fare i conti con una situazione molto difficile: per esempio, mancano quasi del tutto infrastrutture e servizi pubblici. Parigi ha colpe gravissime: a questi popoli, già vittime dello sradicamento culturale subito durante la colonizzazione, offre soltanto una bandiera e poche risorse. Gli altri diritti - civili, culturali, educativi - vengono ignorati.
Il libro è un valido strumento per conoscere questa realtà, spesso ignorata anche da coloro che seguono le questioniindigenesudamericane.  
Alexandra Mathieu, consulente diplomata all'Institut d'Etudes Politiques di Tolosa, è fra i fondatori dell'associazione "Ader en Guyane".
Yves Géry è un giornalista specializzato in problemi sanitari. 
Christophe Gruner è un fotografo. 
ADER Guyane - Association loi 1901 (JO du 31/01/09) - N° SIRET : 509 995 312 00014 
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Aleria 1975

Aleria 1975
Aleria 1975

È uscito in Corsica e nel resto della Francia "Escrocs fora", il primo albo a fumetti della serie Aleria 1975, che si compone di due volumi. 
La nuova pubblicazione (DCL, Ajaccio 2014, pp. 46, E 13,50) ripercorre i tragici fatti di Aleria, che nel 1975 segnarono la nascita del nazioanlsimo corso moderno.
Nel 1962 l'Algeria diventa indipendente: in questo modo la Francia perde l'ultima colonia situata sulla terraferma. Questo genera un trauma politico-culturale che rimarrà oggetto di studio e di dibattito fino ai nostri giorni. Ma il trauma non è soltanto psicologico: la perdita della colonia africana determina anche problemi economici e logistici che Parigi deve risolvere in fretta. Uno di questi riguarda i cosiddetti pieds-noirs, i franco-algerini che vengono rimpatriati dall'ex colonia. Parigi individua nella Corsica il luogo ideale per accoglierli. Inoltre 
decide di facilitare il loro inserimento con prestiti a basso interesse e agevolazioni fiscali di vario tipo. Questo determina forti tensioni sociali.
La popolazione isolana si sente svantaggiata vedendo che il potere centrale è pronto a fare per i pieds-noirs quello che non ha mai fatto per gli autoctoni (infrastrutture, strade, etc.).
Inoltre, coerente con la sua tradizione centralista, Parigi realizza tutto questo senza coinvolgere minimamente gli abitanti dell'isola nel processo decisionale.
La rivolta popolare si coagula attorno a due medici, i fratelli Edmond e Max Simeoni. Il 21 agosto 1975 un gruppo di uomini guidati da Edmond occupa l'azienda vinicola di Henri Depeille, un pied-noir coinvolto in un caso di sofisticazione. Sono armati con fucili da caccia, ma intendono usarli soltanto se sarà necessario difendersi. 
Il governo francese reagisce con mezzi sproporzionati, inviando carri armati, elicotteri, una nave e 1200 poliziotti. La zona viene sottoposta a un assedio che dura alcuni giorni. Durante gli scontri perdono la vita due carabinieri e uno degli uomini di Simeoni.
Edmond Simeoni viene arrestato e processato: il Pubblico Ministero non esita a invocare la pena capitale. Migliaia di corsi manifestano il proprio sostegno a quello che diventerà il nuovo leader autonomista corso. Simeoni viene condannato a cinque anni, ma all'inizio del 1977 viene scarcerato grazie agli sconti di pena che la legge francese accorda agli incensurati. Quando lascia la prigione è ormai una leggenda vivente. Oggi, ottantenne, continua la sua battaglia autononomista e dirige l'associazione Corsica Diaspora.
Ma torniamo al fumetto, che ripercorre fedelmente la storia suddetta. Il soggetto è di Frédéric Bertocchini e i disegni di Michael Espinosa, mentre Nuria Sayago è responsabile dei colori.
Realizzata grazie a varie testimianze dirette, la serie si concluderà con il secondo album, che uscirà nel 2015 (una data certa non è stata ancora fissata).
Frédéric Bertocchini, giornalista corso, ha scritto il sogggetto di molti albi a fumetti, fra i quali ricordiamo "Paoli" (DCL, 2007-2009), "Jim Morrison, poète du chaos" (Emmanuel Proust, 2010), "Le Horla" (Éditions du Quinquet, 2012) e "Aiò Zitelli! Récits de guerre 14-18" (Musée de la Corse, 2014). 
Michel Espinosa, disegnatore francese, ha realizzato vari albi, fra i quali "Ribelli" e "Clandestini", entrambi usciti nel 2012 (DCL, serie "Libera Me").
Nuria Sayago, argentina, lavorato per Disney Channel. Oggi collabora con vari editori di fumetti francofoni.
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The Dead Lands

Il film The Dead Lands, diretto dal regista anglo-figiano Toa Fraser, uscirà in Nuova Zelanda il 30 ottobre.
La storia ruota attorno a Hongi, figlio di un capotribù maori, che deve vendicare la morte del padre. Solo contro molti nemici, il giovane potrà farlo soltanto attraversando un territorio proibito - le "terre morte" evocate nel titolo - e alleandosi con un misterioso guerriero.
Interpretato da James Rolleston, Lawrence Makoare, Te Kohe Tuhaka e Xavier Horan, "The Dead Lands" è tratto da un soggetto di Glenn Standring, mentre il produttore è Matthew Metcalfe.
Il lungometraggio (108'), prodotto dalla General Film Corporation e da XYZ Films, è stato presentato il 4 settembre al Festival del cinema di Toronto.
Ovviamente speriamo che il film venga distribuito anche in Italia, anche se ne dubitiamo.   
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La pervivència de la nació: Catalunya 1714-2014

copertina
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La Catalogna prosegue sempre più decisa sulla via dell'indipendenza. Quest'anno, inoltre, cade il trecentesimo anniversario della caduta di Barcellona (11 settembre 1714) nelle mani delle truppe borboniche, che segnò la fine della guerra di successione spagnola dopo 14 mesi d'assedio. In seguito alla sua vittoria Filippo V di Spagna promulgò i Decreti di Nueva Planta (1716), che sancirono l'abolizione delle istituzioni catalane, prima fra tutte la Generalitat de Catalunya (Parlamento), e il divieto di usare la lingua locale, imponendo al suo posto lospagnolo. 
Questa data viene ricordata l'11 settembre con la Diada Nacional de Catalunya (o semplicemente Diada). Nata per commemorare una sconfitta, questa ricorrenza si è trasformata in una festa con la quale la comunità catalana riafferma il proprio orgoglio nazionale.
Questo spiega perchè negli ultimi anni, con la prospettiva dell'indipendenza, la Diada ha dato luogo a manifestazioni oceaniche che documentano il sostegno popolare al sogno di costituire uno stato catalano.
Com'era prevedibile, l'anniversario suddetto ha stimolato un'attività pubblicistica intensa. Uno dei libri più interessanti è La pervivència de la nació: Catalunya 1714-2014 (Ara Llibres, Barcelona 2014,  
Curato da Jordi Creus e Albert Estrada, il volume ospita scritti di vari esperti, fra Joaquim Albareda, Francesc Fontbona, Òscar Gonzàlez ed Elisenda Paluzie.
L'opera fornisce un ampio panorama della storia catalana degli ultimi tre secoli: dalla lingua al diritto, dalla storia all'economia, la storia della regione spagnola viene analizzata in maniera chiara ed esauriente. Fortemente legata nella propria identità, ma al tempo stesso aperta e cosmopolita, la Catalogna ha avuto un'evoluzione storica articolata e complessa. Oggi fa leva su questo passato per proporsi come stato indipendente.
Come abbiamo già detto a proposito della Scozia e di altri casi analoghi, crediamo che il nostro compito non sia quello di parteggiare pro o contro la Catalogna indipendente, ma di fornire una corretta informazione perché si possano capire certi fenomeni. In altri termini, cercare di contrastare la confusione indotta dalle famigerate cartine geografiche pubblicate su molti periodici italiani, dove si mettono insieme il Veneto e la Scozia, il Sudtirolo e la Corsica, i Tuareg e i separatisti fiamminghi. Dispiace dirlo, ma qualche giornalista arriva a includere in questo panorama caotico la cosiddetta "Padania", che ovviamente non ha alcuna consistenza storica, politica o linguistica. 
"La pervivència de la nació: Catalunya 1714-2014" è scritto in catalano, lingua di facile lettura per noi italiani. Inoltre contiene riassunti dei vari articoli in spagnolo e in inglese.  
Jordi Creus, giornalista e storico, dirige la rivista "Sapiens", che ha fondato nel 2002 con altre persone. Ha pubblicato numerosi libri, fra i quali "Memòria dels Pirineus" (Ara Llibres, 2004) e "Dones contra Franco" (Ara Llibres, 2007).
Albert Estrada, specialista di storia medievale, diritto e sociologia, è curatore del Gabinet Numismàtic de Catalunya del Museu Nacional d'Art de Catalunya.
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Restoring the Kingdom of Hawaii: The Kanaka Maoli Route to Independence

Certe minoranze e/o popoli indigeni hanno ricevuto un valido sostegno da parte di giuristi che hanno sposato la loro causa. In questo modo le rivendicazioni dei primi hanno guadagnato una sostanza giuridica che altrimenti non avrebbero avuto. Basti pensare a Michael van Walt van Praag, avvocato del Dalai Lama e fondatore dell'UNPO(Unrepresented Nations and Peoples). Oppure al sudafricano Jeremy Sarkin, consulente legale degli Herero e autore del libro "Germany's Genocide of the Herero: Kaiser Wilhelm II, His General, His Settlers, His Soldiers (James Currey, 2011).
Lo stesso ha fatto Francis Boyle, autore del libro Restoring the Kingdom of Hawaii: The Kanaka Maoli Route to Independence (Clarity Press, Atlanta [GA] 2014, pp. 196, $19.95). Il giurista 
americano ha dedicato buona parte della propria vita alla questione dimenticata degli indigeni hawaiiani (Kanaka Maoli).
Fra i 50 stati che formano la federazione statunitense, le isole Hawai'i occupano un posto singolare. Non solo sono l'unico stato insulare, ma appartengono geograficamente e culturalmente ad un altro continente (l'Oceania). Inoltre, ed è il punto principale, le Hawai'i sono l'unico stato che ha aderito alla federazione contro la volontà della popolazione autoctona.
Gli indigeni hawaiiani (Kanaka Maoli) sono di ceppo polinesiano. Sono originari delle isole Marchesi, dalle quali migrarono via mare attorno al 100 a.C.
La loro lingua, che oggi non ha alcun riconoscimento ufficiale, appartiene alla famiglia austronesiana e si apparenta quindi a quelle degli altri popoli polinesiani, come i Tahitiani od i Maori della Nuova Zelanda.
Sempre nel corso del diciottesimo secolo, la Russia e la Gran Bretagna tentano senza successo di colonizzare l'arcipelago, che é stato unificato dal re Kamehameha. E' quindi il presidente americano John Tyler che dichiara apertamente l'intenzione di attrarre le isole nell'orbita degli Stati Uniti. Nel 1848 il re Kamehameha III cede alle pressioni dei coloni statunitensi che reclamano la privatizzazione delle terre, dove hanno già diffuso le piantagioni di canna da zucchero. Nel 1866, col pretesto di salvaguardare gli interessi americani, una nave della marina federale viene dislocata nelle acque dell'arcipelago.
Intanto viene promossa una massiccia immigrazione di asiatici e nordamericani. La situazione sta ormai precipitando: nel 1877 il ministro Pierce dichiara che le isole sono "una colonia americana dal punto di vista politico ed economico". Cresce il malcontento fra gli indigeni, che vedono morire lentamente la propria indipendenza.
Nel 1891 sale al trono Lydia Lili'uokalani. La nuova regina, volendo restituire al suo popolo i diritti che sta perdendo, emana una nuova costituzione che istituisce la monarchia costituzionale e nega il voto agli stranieri. I latifondisti americani formano un sedicente "governo provvisorio" sostenuto dagli Stati Uniti. Il 17 gennaio 1893 il palazzo reale viene circondato dagli esponenti del "governo provvisorio" e dall'esercito federale. La regina si vede costretta alla resa.
Pochi mesi dopo, però, il nuovo presidente Cleveland condanna senza mezzi termini il colpo di stato e cerca di restaurare la monarchia hawaiiana. Il suo mandato termina però senza che sia riuscito a vincere la resistenza delle lobbies finanziarie che propugnano l'espansione americana nel Pacifico (a quel tempo gli Stati Uniti hanno già diverse colonie in quell'oceano, fra le quali Guam, Samoa, le isole Midway e le Filippine).
Nel 1898 le Hawaii vengono ufficialmente annesse agli Stati Uniti. Il 27 giugno 1959, quando la popolazione indigena è ormai in netta minoranza, un referendum dall'esito scontato trasforma l'arcipelago nel cinquantesimo stato della federazione.
Il libro di Boyle analizza la questione in termini giuridici, ma lo fa senza usare un linguaggio tecnico che renderebbe il libro un'opera per pochi addetti ai lavori.
Sincero difensore dei popoli oppressi, ma ovviamente sorretto da una profonda conoscenza della questione e dei suoi risvolti giuridici, Boyle dimostra che la restaurazione della monarchia hawaiiana non è una bizzarra fantasia, ma che esistono le condizioni per realizzarla.
Una lettura obbligatoria per gli italiani che si occupano di questioni indigene, dato che nel nostro paese la questione è completamente ignorata.
Francis Anthony Boyle (1950) è un giurista americano che insegna Diritto internazionale alla University of Illinois di Champaign. Ha collaborato con numerose associazioni umanitarie ed è stato consulente della delegazione palestinese ai negoziati che si sono svolti fra il 1991 e il 1993. Ha scritto numerosi libri, fra i quali ricordiamo "Breaking All The Rules: Palestine, Iraq, Iran and the Case for Impeachment" (Clarity Press, 2008), "United Ireland, Human Rights and International Law" (Clarity Press, 2011) e "The Criminality of Nuclear Deterrence" (Clarity Press, 2013).
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